V’è nebbia sul fronte di Nervesa;
or
s’alza e sfuma verso Monte Grappa
svelando
i colli dove di tappa in tappa
corse
la nostra vittoriosa offesa.
Balena
al scialbo sole la meschita,
pietra
non più, ma palpitante idea.
Sui
gradini che salgon la scalea,
nella
divisa ormai tutta sbiadita,
a
mille son schierati i combattenti;
giù
nel piano e attorno la gran mole
selve
di baionette sull’attenti.
Silenzio
è in cielo e un nodo nelle gole
mentre
di Cristo le specie viventi
innalza
il sacerdote verso il sole.
Come
un mito fu quella primavera.
O
della Patria fiorescenza nuova,
o
alto grido che tutta Ti rinnova,
voce
del Tuo destino < guerra guerra! >.
O
primo sangue! Il Carso è già vermiglio.
Poi
si lancian, si rilancian le ondate
e
a mille a mille sotto le falciate
i
fanti cadon con asciutto ciglio.
L’anima
mia così ai ricordi cari
s’eleva,
che dopo il materno riso,
sono
la poesia dei nostri alari.
Su
ogni monte arde un nome intriso
di
sangue. O Passo Buole, mischia impari,
nome
di Termopili d’Alpe inciso.
Monte
Grappa è un solo immenso altare,
ceruleo,
con la sua nivea tovaglia,
nubi,
incensi, e il sacrario ove pregare.
Fu
lassù che arse la maggior battaglia.
O
gloria degli alpini, epopea
di
dicembre, quando nell’angoscia fosti
l’ultima
speranza senza trincea.
Un
contro dieci, costi quel che costi,
su
neve, allo scoperto, a razion fredda
gli
alpini sparan con calma, e sul posto
cadono
i più; attaccano all’arma fredda
i
nuovi battaglioni, e non v’è posto
ove,
sopra i caduti, pur si ceda.
Ma
il nemico non passò, a nessun costo.
A
te Piave, la dolce canzone
canteremo,
nata fra la mitraglia
mentre
sul greto tuonava il cannone
e
il fante passava alla Sernaglia.
Dalle
tue rive emerse la Vittoria
e
la vedemmo come dea laziale
immensa,
bianca, soffusa di gloria
verso
la Vetta d’Italia aprir l’ale.
Che
importa riandar la tristissima êra
quando
la Patria dovè soffrire
oltraggio?
L’eroe pensò alla trincea.
Finchè
il Capo gridò doversi agire;
riafferran
gli arditi la fiamma nera
ed
i moschetti dalle fredde mire.
Voce
della Patria fu il Suo grido
e
noi l’udimmo, in quel radioso maggio.
Dalla
trincea ci incitò ferito.
Or
s’erge gigante contro l’oltraggio
pallido
della Patria Dittatore.
Travolgenti
le schiere al suo comando,
e
v’è tra esse della guerra il fiore,
sbaraglian
le orde disfattiste. E quando
d’un’alba
laziale all’incerta luce
Egli
addita lontano un balenare,
un
grido alzaron le legioni: DUCE!
DUCE, chè al par di Cesare marciare
osò
su Roma, e ad essa riconduce
bianca
l’ala la Vittoria del Piave.