Sul nostro giornale nazionale L'ALPINO del novembre 2016, compare un interessante articolo (con tanto di foto di copertina) dal titolo El bocia alpin (1), dedicato all'alpino "fuori ordinanza" Matteo Piaia. L'autore Luca Girotto presenta e documenta un aspetto, quasi sconosciuto, su questi particolari fatti che hanno visto protagonista un dodicenne ragazzino animato di "amor patrio" condividere la vita militare, fatiche e patimenti, azioni di guerra a rischo della vita, ecc.
Prendendo spunto dall'interessante articolo, ho ripreso in mano alcuni articolo da me rintracciati sul giornale bolognese il Resto del Carlico, già pubblicati nella rubrica - rassegna stampa - ma senza commenti, per riproporre ed ampliare con altri esempi questi particolari avvenimenti, oggi impensabili, sulla presenza di minori inquadrati nei reparti alpini combattenti. Sicuramente i momenti contingenti, il culto della patria, sono stati determinanti per quei alpini-ragazzini (ne ho rintracciati tre nella Grande Guerra ed uno nella seconda guerra) che hanno contribuito a rendere il Corpo degli Alpini sulla stampa, così "famoso" e a volte "invidiato" dagli altri Corpi e Specialità dell'Esercito Italiano. Ci tengo a precisare che non solo il "nostro" giornale bolognese aveva dato risalto a queste notizie, ma con altrettanta enfasi qeste notizie trovano spazio anche su altre Testate giornalistiche.
Alcune considerazioni che mi sono posto : ma questi ragazzini-soldato, erano veramente "inquadrati" nel Regio Esercito, gli Alti Comandi ne erano a conoscenza e quindi lo permettevano, come mai se ne perdono le traccie, come mai sul nostro giornale L'ALPINO (dal 1919 al novembre 2016) non ho trovato nessun riferimento a questi episodi : sono domande che non hanno risposta. Solo un certo scrittore Salvator Gotta, sicuramente di fervida fantasia, si era sicuramente ispirato a questi fatti "fuori ordinanza" per scrivere il suo notissimo romanzo PICCO ALPINO, libro edito la prima volta nel 1926, che è stato un grandissimo successo con numerosissime ristante, dal quale poi fu tratto anche un film nel 1940 ed una miniserie TV andata in onda fra il 1986 ed il 1987. Qui sotto ripropongo alcune delle nomerose storiche copertine del libro, la locandina del film e dello sceneggiato TV.
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PRIMA GUERRA MONDIALE
Il primo alpino "fuori ordinanza" ad essere proposto con un'articolo sui giornali è il giovinetto Pietro Odorico Mattia, friulano nato nel 1902 a Sutrio, paesino nell'alta valle del Bût delle Alpi Carniche, ricordato sul giornale La Domenica del Corriere del 16 aprile 1916.
Di lui vi sono alcune notizie biografiche :
Si arruola volontario nel 1921, ma non è indicato in quale reparto ed è congedato a fine ferma nel 1923. Lo ritroviamo di nuovo volontario nell'ottobre 1923 in Cirenaica, quindi congedato nel 1926. Non si conoscono altri particolari, quale professione, se è sposato, ecc. Nel 1930 si trasferisce a Trieste dove muore il 31 dicembre 1938. Ovviamente nel ruolo matricolare nessun accenno alla Grande Guerra.
note: penso che sia un refuso, un errore, quando si parla che - Da sei anni fa parte..... sicuramente va inteso che - Da sei mesi fa parte......
La seconda notizia rintracciata compare su Il Resto del Carlino del 24 settembre 1916 e parla del giovinetto livornese Amleto Barrotti, del suo rientro in famiglia dopo undici mesi di "naja" e dopo breve degenza in ospedale per ferita. Nonostante accurate ricerche, non sono riuscito a rintracciare ad oggi alcuna notizia su questo alpino "fuori ordinanza". Mi limito pertanto a proporre il trafiletto rintracciato.
Il più noto e che ha avuto maggiore risonanza sulla stampa con due articoli su diversi periodici (ed oggi il terzo riproposto su L'ALPINO del novembre 2016), è sicuramente il giovanissimo dodicenne Matteo Piaia originario dell'Agordino. Qui a fianco è riprodotto l'articolo comparso su Il Resto del Carlino del 5 ottobre 1916.
Un'altro articolo compare sul fascicolo "La Guerra Italiana" del settembre del 1916 che riproduco:
UN ALPINO DODICENNE
Da Belluno viene segnalato alla "Tribuna Illustrata" un caso eccezionalissimo, forse unico nella guerra europea. Un biondo ragazzo dodicenne, Matteo Piaia, fu Giovabattista di Avoscan (comune di San Tomaso d'Agordo), veste la divisa di caporal maggiore dei volontari alpini e porta sopra i gradi la corona reale, indice del merito di guerra, mentre reca sul petto il nastrino azzurro della medaglia al valore e quello della campagna. Il piccolo caporale rimase ferito dopo aver fatto con onore quattordici mesi di vita al fronte e molte settimane di trincea. Per amor filiale divenne soldato e per amor filiale s'è fatto eroe. Fin dal giugno dello scorso anno, essendo il di lui padre chiamato alle armi egli lo seguì, riuscendo ad entrare nell'81° reggimento fanteria. I soldati presero ad amarlo, lo tennero seco, gli adattarono una divisa e così poté rimanere a fianco del padre fino al giorno in cui questi cadde ucciso in combattimento. Matteo giurò allora di vendicarlo: volle essere munito di rivoltella ed il colonnello gliene regalò una. Con essa si appiattò su un erto dirupo, di quelli su cui a malapena si arrampicano i caprioli, e rimase lunghe ore in vedetta finché non gli riuscì di prendere di mira un capitano austriaco. Sparò e l'uccise. Ma il colpo stesso rivelò ov'egli era e i tiri nemici si rovesciarono su di lui. Due pallottole lo colpirono al capo, presso l'occhio destro e a l'occipite. Ma per la brillante azione compiuta e pel coraggio dimostrato s'ebbe poi la medaglia e i galloni di caporale. Il ragazzo venne più tardi passato dal reggimento fanteria al corpo dei volontari alpini.
note: si fa riferimento ad un nastrino azzurro della medaglia al valore, ovviamente era una iniziativa più morale che reale presa da suo comandante, in quanto il ragazzo era minorenne e quindi non "inquadrato" ufficialmente dal Regio Esercito. Tale nota vale anche per i "galloni di caporale".
A conclusione di questa parte dedicata alla Grande Guerra, non va dimenticato l'eroe fanciullo, Sottotenente degli alpini a quindici anni (effettivi), decorato vivente a diciassette anni (effettivi) di Medaglia d'Oro al valor militare : è l'italo-cileno Vittorio Montiglio, del quale propongo questa sintetica biografia.
Vittorio, terzo di sei figli nasce a Valparaiso, in Cile, il 15 gennaio 1903, da una famiglia piemontese di forti sentimenti di italianità, il padre è Console italiano in Cile. Con l’entrata in guerra dell’Italia, i fratelli Giovanni (20 anni) e Umberto (18 anni) partono per arruolarsi volontari. Nell’agosto del 1916 ha solo 13 anni, ma con fisico robusto e di altezza superiore alla media, raggranellati i soldi per il viaggio, scappa di casa, raggiunge fortunosamente Buenos Aires e da lì si imbarca con altri volontari italiani fino allo sbarco a Genova. Raggiunge a Casorzo nel Monferrato, la casa del nonno, quasi novantenne, ed utilizzando i falsi documenti che già gli hanno consentito l’espatrio e nei quali risulta nato nel 1899, si presenta al Distretto Militare di Casale. Nel frattempo scrive al padre “Caro papà, se mi denunci o mi fai tornare nel Cile, senza che io abbia combattuto per l’Italia, io mi ammazzo”. Viene arruolato, con destinazione al “tranquillo” 7° Reggimento di Artiglieria da Fortezza distaccamento di Canelli. Qui emerge il suo carattere di “volontario irrequieto per la smania di fare la guerra in prima linea” che inducono le Autorità ad accogliere la sua domanda di trasferimento e nella primavera del 1917 lo assegnano al 3° Reparto d’Assalto Alpino, nella valle dell’Adige. In tre mesi prende parte a ben 43 pattuglie notturne, 12 colpi di mano e 5 azioni “importanti”. Per l’incondizionata stima dei commilitoni e dei superiori, nell’ottobre viene “comandato” a frequentare il Corsi Allievi Ufficiali presso la Scuola di Parma dove rimane fino al febbraio 1918. Con la promozione ad Aspirante Ufficiale viene assegnato 7° Reggimento Alpini, Battaglione Monte Pelmo, dove lo raggiunge la promozione a Sottotenente di complemento (ha in realtà 15 anni). Con la promozione viene trasferito al Btg. Feltre, sempre del 7° Alpini, nel Reparto Arditi. Nonostante la giovane età è amato incondizionatamente dagli uomini del suo plotone che sa guidare nelle più rischiose azioni sempre alla testa. Il 23 ottobre ferito da una granata nemica è ricoverato in Ospedale. Appena ha sentore dell’inizio della battaglia finale e decisiva, fugge nascondendosi in una “carretta di Battaglione” per raggiungere il suo Reparto. Nelle decisive battaglie del 2, 3, 4 novembre si guadagna la prima proposta di medaglia d’argento, poi successivamente “sospesa per la sua minore età”. La guerra è finita, ma non per tutti. Nel marzo 1919 con la promozione a Tenente, viene trasferito in Albania, dove le Truppe italiane devono garantire la formazione del nascente Stato albanese. Qui il nemico è rappresentato dalle bande di “comitagi”, ribelli albanesi, abilissimi tiratori, che attaccano senza rispettare le regole, di giorno e di notte e normalmente non fanno prigionieri. Qui ancora una volta emerge il carattere ed è protagonista di azioni memorabili che gli vengono riconosciute con una seconda proposta di medaglia d’argento, poi successivamente “sospesa per la sua minore età”. Rimpatriato dall’Albania, il 4 aprile del 1920 diserta e raggiunge Fiume, la famosa “impresa di D’Annunzio”, dove già sono i due fratelli. A fine “impresa” rientrato al Reparto viene “scoperta la vera età” e denunciato al Tribunale Militare per aver falsificato i documenti al momento dell’arruolamento. Ne esce fortunosamente, nel settembre del 1921, con l’assoluzione motivata un po’ “arditamente” da una Corte che “non riconosce reato l’alterazione della data di nascita, perché essa fu fatta con lo scopo di prendere parte alla Grande Guerra per il bene della Patria” e la Corte dispone perché la proposta di medaglia d’oro al valor militare, guadagnata in Albania e trasmessa l’anno prima all’apposita Commissione, abbia il suo corso. Con regio decreto del 28 aprile 1925 gli viene conferita la Medaglia d’Oro al valor militare.
Sul giornale L’ALPINO del 30 giugno 1925 compare la notizia con i commenti dal titolo LA PIU’ GIOVANE NOSTRA MEDAGLIA D’ORO.
Nel frattempo ha aderito al neo costituito partito fascista dove in breve diviene capo delle squadre d’azione nel torinese. Prende quindi la decisione di rientrare in Cile per attendere la maggiore età (21 anni) e nel 1924 rientra in Italia dove su sua domanda chiede l’assegnazione alla neonata Arma Aerea, come Ufficiale pilota presso l’aeroporto di Ghedi (Brescia). Nell’ottobre 1924 mentre da solo rientra a casa, è fatto segno d violenta aggressione che gli procurano sei mesi di ospedale una mano semi anchilosata e la parte sinistra del torace offesa sensibilmente. In quelle condizioni, non può più volare deve quindi rinunciare alle sue aspirazioni di pilota e torna in Sud America. Agli inizi del 1929, sempre irrequieto, rientra in Italia ed il Segretario del Partito lo fa nominare Seniore* della Milizia (corrispondente al grado di Maggiore* del Regio Esercito). Il 9 novembre del 1929 l’auto sulla quale viaggia con alcuni amici, fra i quali il mutilato Capitano alpino Giovanni Salina (decorato di medaglia di bronzo nel 1912 in Libia, anche lui deceduto) sbanda in una curva a causa della forte pioggia, nei pressi di Magliano Sabina in provincia di Terni e muore. I funerali si svolgono a Roma con una grandissima partecipazione di folla. All’interno del Parco del Pincio a Roma viene collocato un suo busto marmoreo.
Sul giornale L’ALPINO del 15 novembre viene data la tragica notizia. Successivamente sul giornale L’ALPINO del 1° dicembre viene ricordata la figura del giovinetto Eroe.
Anche il Cile lo onora e a Santiago gli viene intitolata una scuola per bambini italo-cileni.
Motivazione della medaglia d’oro: “Nato nel lontano Cile, da famiglia italiana, educato ad alti sentimenti di amor patrio, l’animo conquiso dagli eroismi e dai sacrifici della nostra guerra, la cui eco giungeva a lui attraverso le lettere dei due fratelli volontari al fronte, quattordicenne appena lasciò la casa paterna e, sprezzando pericoli e disagi, venne alla sua Patria. Nascondendo con la prestanza del fisico la giovanissima età, si arruolava nell’Esercito, e, dopo ottenuta l’assegnazione ad un Reparto territoriale, per la sua insistenza, veniva trasferito ad un Reparto Alpini d’Assalto, ciò che era nei suoi sogni e nelle giovanili speranze. Sottotenente a quindici anni, Comandante gli Arditi del Battaglione Feltre, partecipò con alto valore ad azioni di guerra, rimanendo ferito. Di sua iniziativa abbandonava l’Ospedale per partecipare alla grande battaglia dell’ottobre 1918, nella quale si distinse e fu proposto al valore. Tenente a sedici anni, fu inviato col Reparto in Albania, dove, in importanti azioni contro i ribelli, rifulsero le sue doti di iniziativa, non fiaccate dalle febbri malariche dalle quali venne colpito. Nella stessa località, salvando con grave rischio un suo soldato pericolante nelle insidiose correnti del Drin, dava prova di elevata sensibilità umana e di civili virtù. Magnifica figura di fanciullo soldato, alto esempio ai giovani diche cosa possa l’amore alla propria terra. (Italia -Albania, giugno 1917-giugno 1920)”.
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SECONDA GUERRA MONDIALE
Nel corso della seconda guerra mondiale ho trovato due casi ricordati su Il Resto del Carlino, il primo compare sul numero del 2 settembre 1941; è il giovinetto Alberto Colozzi che dovrebbe essere nato nel 1930 a Bari. Anche per lui nonostante accurate ricerche, non sono riuscito a rintracciare ad oggi alcuna notizia su questo alpino "fuori ordinanza". Mi limito pertanto a proporre il trafiletto rintracciato.
aggiornamento inserito il 1° febbraio 2018
Il secondo alpino "fuori ordinanza" viene ricordato su Il Resto del Carlino del 21 maggio 1943. Si tratta del giovinetto di origine slava Giorgio Mattievich del quale propongo il trafiletto rintracciato.
Di questo "alpino fuori ordinanza" era comparso in precedenza un simpatico articolo sul giornale L'ALPINO del 15 maggio 1943.
Da una segnalazione pervenuta da Mario Gallotta aggiungiamo questo "bocia" :
Sicuramente aveva nei sogni di quindicenne una "normale" vita di lavoro, matrimonio, figli, nipoti ed una serena vecchiaia, ma il destino ha tragicamente interrotto il sogno e la giovanissima vita. Era il "bocia" alpino Virgilio Ferrari nato a Milano il 3 dicembre 1929.
Con il rientro in patria nel luglio-agosto 1944 della Divisione Alpina "Monterosa" dopo l'addestramento in Germania, ottiene con il consenso dei genitori di arruolarsi e si presenta al Comando del battaglione alpini "Aosta" dislocato a Dronero. Accolto come "mascotte" con mansioni di porta ordini dal comandante Magg. Guarini che raccomanda ai suoi uomini di non coinvolgerlo in situazioni pericolose dove è previsto l'eventuale uso delle armi. A meno di un mese dalla fine della guerra, il Battaglione viene dislocato sulle Alpi del Cuneese. Vista la situazione che si stava creando, il Maggiore Guarini ordina il ripiegamento dal confine francese a Dronero e intraprende le trattative di resa dei suoi alpini con il Comitato di Liberazione Nazionale. Ma il 25 aprile, il presidio degli Alpini viene attaccato dai partigiani, motivo per cui parte una richiesta di rinforzi al comando del battaglione "Aosta" di Dronero. Ma ormai la resa della "Monterosa" è imminente, infatti i battaglione "Aosta" pochi giorni dopo viene sciolto e il personale si consegna, armi e bagagli, ai partigiani della Provincia di Cuneo. A questo punto esistono due versioni dei fatti che per correttezza propongo entrambi.
Dal sito web della "Monterosa" : Il giovanissimo Virgilio, trova rifugio presso il sacerdote (Don Raffaele Volta, partigiano "Lino" n.d.r.) e viene avviato verso un convento di suore a Dronero, ma non ci arriverà mai. Il prete, forse incautamente affida il Virgilio ai partigiani, occasione splendida per questi personaggi per dare un bell’esempio, il poverino sarà fatto girare per alcune località del Cuneense, esibito come un criminale comune e poi «giustiziato».
Dai ricordi di “Lino”, nome di battaglia del sacerdote partigiano Don Raffaele Volta : Era al calar della sera quando, all’improvviso, abbiamo pensato di essere stati individuati da un gruppo di fascisti che, urlando e sparando, si dirigeva verso di noi. C’è stato istintivamente un fuggifuggi che si è interrotto subito dopo, ovvero quando abbiamo capito che erano partigiani esaltati e euforici che scortavano dei prigionieri, tra i quali c’era anche un ragazzo. Intuendo quale sarebbe stata a breve la sorte di quelli mi rivolsi al Comando: “questo è un bambino, non lo ammazzerete, a lui ci penso io". Si, si, tranquillo Don Lino! .....
Purtroppo la sorte del "bocia alpino" a questo punto combacia in entrambe le versioni, pochi giorni dopo viene ammazzato con un colpo di pistola alla testa sotto il ponte nuovo di Cuneo, quinta arcata, in località Basse di Sant’Anna. Era martedì 8 maggio 1945.
Il suo nome compare nell'elenco ufficiale dei caduti della "Monterosa".
La storia e notizie più esaustive di questo "bambino-soldato" sono ricordate sul sito web della Divisione Alpina "Monterosa" e su - Il Giornale.it - del 24 gennaio 2012.
Ora, che da pchi mesi ci ha lasciato, voglio dedicare un po' di spazio "per non dimenticare" ed aggiungere all'elenco dei bocia alpini il "nostro" Francesco Ventura, bolognese di nascita, combattente quindicenne nella primavera 1945 con Btg. alpini "L'Aquila" del Reggimento Fanteria Speciale
“Legnano” del Gruppo di Combattimento “Legnano”.
Classe 1930, nato da famiglia contadina, ultimo di quattordici fratelli, educato e cresciuto in ambiente sicuramenmte antifascista, a seguito degli eventi legati alla caduta del regime fascista nel 1943, con il fratello maggiore Renato ed il "beneplacito" del padre, entra nella resistenza e vista la giovanissima età di tredicenne, gli viene affidato l'incarico di "staffetta" in una formazione che opera nell'Appennino bolognese. Ferito nel settembre 1944 durante uno scontro con i tedeschi, ricoverato in un'ospedale in Toscana, viene raggiunto dal fratelo Renato e, avuto notizia che si stavano concentrando le forze alleate e reparti
dell’esercito italiano inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione, decidono di lasciare la lotta clandestina e si arruolano entrambi presentandosi presso il comando del Colonnello (alpino) Galliano
Scarpa comandante del Reggimento Fanteria Speciale “Legnano”. Nonostante la giovane età viene accettato, su responsabilità del fratello masggiore, ed assegnato alla 108ª compagnia
del Battaglione Alpini “L’Aquila” quale conducente muli delle salmerie. Il 10 marzo 1945, con marcia forzata attraverso il Passo della Roticosa, che dalla Toscana porta all'Emilia, poi giù verso le valli bolognesi fino alla delicata
e strategica località Cà di Bazzone, nella Valle Idice, ubicata a sud di Bologna in
prossimità della Via Emilia, entra "finalmente in linea di combattimento". Qui assiste purtroppo al sacrificio del proprio comandante di Battaglione, il Maggiore Agusto de Cobelli caduto eroicamente il 23 marzo e decorato di Medaglia d'Oro al valor militare. Il 21 aprile, non ancora quindicenne, in regolare divisa d'ordinanza degli alpini, ha "l'onore" di entrare in Bologna liberata.......
Rientrato nel settembre 1946 alla vita civile dopo quasi venti mesi di naja, nel 1952 si iscrive alla nostra Sezione Bolognese Romagnola orgoglioso del "dovere pericolosamente compiuto".
alcune note:
Quando negli anni '90 avevo realizzato il Museo degli Alpini presso la sede sociale del gruppo di Ozzano dell'Emilia, arrivò una sera e chiamandomi in disparte, mi chiese se poteva donare al Museo il suo zaino e gli scarponi Vibram, con i quali aveva fatto "la guerra e poi la naja". Ovviamente risposi che ero onorato di poter arricchire la collezione con dei così preziosi cimeli. Ricordo che si commosse e fu lui a ringraziarmi.
Quando poi ho ideato e realizzato questo mio sito, fra le varie figure "alpine" proposte, ho ovviamente pensato all'amico "bocia" Francesco quindi pubblicato un'ampia pagina biografica al link : Ventura-Francesco
note:
(1) bocia, nel gergo militare quasi esclusivamente alpino, significa ragazzino, giovane recluta, da boccia (testa) con alusione al cranio rasato dei bambini e delle reclute.