rassegna stampa da L’ALPINO

periodico dell’Associazione Nazionale Alpini

Fratelli di tre bandiere in vetta al mitico "Cerro"
*di Pietro Bruschi

pubblicato il 15 marzo 2011
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO



Tratto dal giornale L'ALPINO - ottobre 1993

 


il massiccio del Cerro Ancocagua

 

Nel pomeriggio di domenica 14 febbraio 1993, sulla vetta più alta del Continente americano - il Cerro Aconcagua, 6.962 metri di quota - il tricolore ha sventolato a fianco delle bandiere argentina e cilena. "Alfieri" d'eccezione sono stati i componenti di una spedizione militare internazionale, organizzata dall'esercito argentino e scaturita dalla stretta collaborazione che da tempo si è instaurata tra le <Truppe andine> e le nostre <Truppe alpine>. Collaborazione che lo scorso anno (si intende il 1992 n.d.r.) si è rafforzata con scambi di visite tra il capo di Stato Maggiore di quell'esercito e il comandante del 4° Corpo d'Armata Alpino.
L'Italia era rappresentata da due ufficiali del comando 4° C.A.A., il ten. col. Bruschi, capo delegazione, alpinista accademico militare, e il ten. col. Boriero, guida alpina militare, dal cap. Giannuzzi della "Julia", istruttore scelto di sci e alpinismo, già esperto di spedizioni extraeuropee, dal m.llo Bianco della brigata "Taurinense", pure lui istruttore scelto, e da due caporali della "Tridentina" con precedenti esperienze di spedizioni exrraeuropee, il trentino Bertolla e il bergamasco Gaffuri.

 

 

 

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Un paio di settimane prima della partenza per l'Argentina, abbiamo intensificato la nostra preparazione specifica con una serie di marce sci-alpinistiche a quote comprese tra i 3.000 ed i 3.500 metri, le più alte praticabili sulle Alpi nel periodo invernale. Contemporaneamente abbiamo dedicato una particolare attenzione sia alla scelta dell'equipaggiamento più adatto a quell'ambiente, del tutto anomalo rispetto ai "quattromila" cui siamo abituati noi europei, sia alla ricerca della maggiore quantità possibile di notizie, mediante la consultazione delle poche pubblicazioni disponibili e dei resoconti di alcune precedenti spedizioni.


il primo a sinistra è il ferrarese ten col. Pietro Bruschi
(la fotografia correda l'articolo)

Così è praticamente iniziato il nostro "avvicinamento spirituale" a questa montagna, il mitico Anconcagua, un nome che incute timore e rispetto solo a sentirlo pronunciare, soprattutto per la fama che si è guadagnato con le sue improvvise e terribili tormente di vento e neve - il codidetto "vento bianco" le cui raffiche raggiungono i 200 Km/h - e con il mal di montagna - il famigerato "puna" - che infligge, anche agli alpinisti più esperti ed acclimatati, malessere generale accompagnato da cefalee, nausea, insonnia, anoressia e talvolta da edemi polmonare e cerebrale. E tanta nomea ci veniva confermata anche da una notizia per noi non certo confortante: soltalto il 20% delle spedizioni partite per l'Aconcagua ha raggiunto i 7.000 della vetta.
La nostra avventura prende dunque l'avvio il 2 febbraio con la partenza da Roma per Buenos Aires, da dove proseguiamo subito per Mendoza. Li veniamo accolti con grande calore e simpatia dagli "andini", detti "cazadores", e facciamo la conoscenza del capo spedizione, maggiore Valentin Ugarte, esperto andionista figlio di una famosa guida locale.
Il 6 e 7 febbraio, a Puente de l'Inca, caratteristico villaggio posto a 2.700 metri di quota, siamo ospiti di una compagnia di "cazadores" per un brevissimo periodo di acclimatizzazione e messa a punto delle nostre condizioni fisiche.
Il giorno 8 affrontiamo il sentiero che percorre gl'interminabili 40 chilometri della <Quebrada de los Horcones>, vallata brulla, selvaggia e circondata da massicci imponenti, ma con un fascino particolare e con colori che cambiano continuamente. In due tappe, il 9 raggiungiamo il campo base di quota 4.230, dove trascorriamo altri tre giorni di acclimatizzazione, compiendo escursioni a quote sempre maggiori. In questa famosa <Plaza de Mulas>, così chiamata in onore dei bravi e generosi quadrupedi, tanto utili per il trasporto dei pesanti bagagli. E lì, finalmente, ci appare l'Aconcagua che, con tutta l'imponenza dei suoi 7.000 metri, sembra palesare un atteggiamento di sfida. Nell'ampia conca, unico luogo con segni di vita in tanta solitudine, troviamo decine di tende variopinte, popolate da una moltitudine di alpinisti di ogni nazionalità, tuttti spinti dall'aspirazione di raggiungere la vetta. Qui decidiamo la tattica di salita, ansiosi come siamo di concludere l'ascensione perchè ormai ci sentiamo sufficentemente preparati e soprattutto perchè le previsioni metereologiche a breve scadenza non sono molto favorevoli.


in marcia di allenamento
(la fotografia correda l'articolo)

Carichi di tutto il necessario per la sopravvivenza alle quote maggiorri, il 13 febbraio lasciamo il campo base e raggiungiamo il cosidetto <Nido de Condores>, il campo alto posto a 5.400 metri su un vasto piano innevato, costantemente battuto da forti raffiche di vento. L'ambiente suscita in noi sensazioni indescrivibili e siamo colti da un profondo senso di solitudine e di sbigottimento di fronte a una natura tanto severa, che minaccia di non perdonare che non ha raggiunto un perfetto equilibrio psico-fisico.


Alle 4 del giorno dopo, domenica 14 febbraio, mentre l'alba imminente fa presagire un'altra gelida serena mattina, riprendiamo l'ascensione ancora intirizziti, e piuttosto debilitati dal vento e dal freddo che ci hanno tormentati per tutta la notte. La vetta dista ancora 1.600 interminabili metri di dislivello, ma ormai siamo alla resa dei conti. Non si torna più indietro. Il nostro passo si fa sempre più greve e il nostro respiro affannoso. Quando raggiungiamo <Penon Martinez>, un inconfondibile pinnacolo a quota 6.600 dedicato all'omonimo capitano dell'esercito argentino che vi morì, scorgiamo l'attacco della <Canaleta de la Muerte>, l'ultimo più impegnativo tratto dell'ascensione, coperta da uno strato di neve. La cima è ormai poco sopra di noi, quando all'improvviso sopraggiunge la tormenta, che ci stordisce con il suo nevischio rabbioso sferzato dal vento, ci penetra nelle ossa e mette a dura prova tutta la nostra volontà e preparazione fisica. Ma nessuno si scoraggia. Finalmente, verso le tre del pomeriggio, insieme con gli amici andini argentini e cileni, mettiamo piede e bandiera sulla più alta vetta del continente americano.


il capitano Giannuzzi regge il gagliardetto
tricolore sulla cima dell'Acconcagua,
spazzata da una furiosa tormenta
(la fotografia correda l'articolo)

 

 

Il mondo è sotto di noi. Ma non c'è tempo per le emozioni, solo per qualche fotografia e poi giù, per un ritorno altrettanto difficile che ci vede raggiungere il <Nido de Condores> all'imbrunire. Ormai è fatta, anche se passare un'altra notte in tenda al campo alto, con pessime condizioni atmosferiche e un freddo intenso, non è certo l'ideale dopo tanta fatica. Solo al campo base, al quale facciamo ritorno il terzo giorno, 15 febbraio, finalmente riusciamo a rilassarci e a scaricare quella tensione emotiva con la quale abbiamo dovuto convivere fin dal nostro arrivo in Argentina.
Il giorno dopo, a Mendoza, iniziano i festeggiamenti. Il comandante dell'8^ <Brigata de montagna> ci consegna il prestigioso attestato dell'impresa andina e il vice console d'Italia ci offre una piacevole occasione di incontro con la comunità italiana. Un'indimenticabile serata trascorriamo poi con i componenti del locale gruppo A.N.A. i quali condividono con orgoglio il successo di un'impresa che ancora una volta tiene alto il nome dell'Italia all'estero. La più grande emozione ci coglie alla lettura del messaggio del Presidente delle Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Ai suoi sentimenti di viva soddisfazione e a "un caloroso ringraziamento ricco di ammirazione", il Presidente aggiunge : "Tale spettacolare impresa evidenzia un significativo impegno organizzativo, eccellente preparazione fisica, elevato livello addestrativo, tenace volontà di riuscire nell'intento, doti queste che rafforzano il prestigio di cui godono gli appartenenti alle truppe alpine in tutto il mondo".
Festeggiamenti e avventura si concludono a Buoenos Aires, dove veniamo ricevuti dall'ambasciatore italiano e dal capo di Stato Maggiore dell'esercito argentino.

 



 

*Pietro Bruschi, Generale degli alpini, è nato nel 1940 a Ferrara. Ha frequentato l'Accademia MIlitare di Modena e la Scuola di Applicazione di Torino. Con il grado di Tenente degli alpini ha prestato servizio nei Btg. Tirano e Edolo e come Capitano comandante di compagnia, presso il Btg. Morbegno. Con il grado di Maggiore ha svolto servizio presso il comando del 5° Rgt. Alpini e presso il comando della Brigata Alpina Orobica. Con l'avanzamento al grado di Tenente Colonnello ha assunto il comando del Btg. esploratori della Scuola Militare Alpina di Aosta quindi, come Colonnello ha svolto l'incarico di Capo Ufficio sport, meteomont e responsabile dell'attività sci alpinistica delle truppe alpine presso il Comando del Corpo d'Armata Alpno. Ha concluso la carriera militare nel 1997 con il grado di Generale di Brigata, richiamato momentaneamente in servizio per l'organizzazione dei Campionati Mondiali Militari di sci del 1998. Nella sua lunga carriera militare, sempre con le fiamme verdi, ha raggiunto queste qualifiche; istruttore scelto di sci e alpinismo, alpinista Accademico Militare, esperto di neve e valanghe. Per dieci anni è stato responsabile dell'organizzazione dei Campionati sciistici delle truppe alpine. Vive a Merano.

 

 

il Generale Pietro Bruschi oggi.
Sullo sfondo, uno scorcio della "sua" Merano.