Verso
di noi sta arrivando un militare il quale, intuita la destinazione,
ci blocca. Incaricato dal Comando Militare di ricevere le reclute
ci accompagna in caserma. Essa, la nostra nuova casa, non è molto
distante: percorriamo il viale che più tardi imparerò a chiamare
<Viale Venezia> e intanto il mio sguardo è fisso su ciò che
mi circonda e sulla città che dovrà ospitarmi per questi primi mesi.
Eccoci di fronte alla caserma sulla cui facciata leggo CASERMA MONTE GRAPPA. Il Monte Grappa, sacro alla Patria, , simbolo sempre
vivente di eroismo e di fedeltà, costituisce per tutti, ma in special
modo per le giovani reclute, un esempio costante dei valori morali
della nostra stirpe.
Il
popolo guarda questo sacro monte con timore reverenziale, e vede
nelle sue giovani penne nere i continuatori, i figli degli eroi
immolatisi sui confini sacri della Patria. Nel silenzioso, quotidiano
costante lavoro, con lo sguardo rivolto ai Caduti ed alla Madonna
del Grappa, compiono il primo rito di soldati le giovani reclute
del Battaglione pronte, qualora fosse necessario, ad emulare le
gesta dei loro padri per difendere il Sacro suolo della Patria…
I
primi giorni piuttosto monotoni trascorrono nelle visite mediche
e nelle vestizioni. Ci viene consegnato il cappello, una specie
di bombetta alta, rigida, con le ali strette e rialzate: in centro
una stella di panno bianco a cinque punte, a sinistra una coccarda
di lana verde con dentro una pappina in cui viene sistemata una
penna. Ci piaceva molto, in verità, la penna che dava un’idea semplice
e suggestiva di montagna. Ma essa non bastava a consacrarci Alpini:
occorrevano i sacrifici, ed essi vennero subito..
Sono
trascorsi solo pochi giorni ma già aspetto corrispondenza da casa
perché mi sembra una eternità che sono partito. Grande è la solitudine,
la malinconia che si prova, sentita ancora di più perché nelle prime
settimane, come vuole il regolamento militare, le nuove reclute
non possono godere della libera uscita…l’uscita è l’unica gioia,
l’unica speranza per noi, perché quando si lascia alle spalle la
porta della caserma e si esce in città, anche se per poche ore,
si rinasce. Veramente, dopo diciannove lunghi giorni, giorni di
attesa e quasi di prigione, nell’uscire per la prima volta e riprendere
contatto col mondo esterno si prova una gioia immensa. Nel vedere
un angolo di mondo libero, nuovo, si è trascinati dall’ebbrezza
e si vaga così senza meta per la città fino alla ritirata…
Intanto
comincio a fare le prime amicizie, ad avere i primi contatti con
ragazzi nuovi arrivati da città anche lontane del meridione. Comincio
a conoscere la loro mentalità, i loro costumi, le loro abitudini
di vita. Mi accorgo che le prime impressioni sul nuovo mondo in
cui ci troviamo a vivere non sono per tutti allarmanti. Coloro che
a casa vivono in ristrettezze economiche si trovano ora quasi nell’agiatezza
e sono veramente entusiasti e contenti del rancio. Altri, che per
motivi vari hanno dovuto giovanissimi interrompere la scuola al
proprio paese, possono ora continuare a studiare seguendo i corsi
serali all’interno della caserma e arrivare così alla licenza elementare.
Si leggono nei loro volti la gioia e quasi vorrebbero ringraziare
chi ha dato loro questa possibilità. Francamente bisogna riconoscere
che questo è un lato positivo del sistema militare attuale. E’ giusto
che, anche se per breve tempo, almeno durante il servizio militare
lo Stato aiuti quei giovani volonterosi di apprendere, affinché
non debbano sentirsi senza loro colpa, relegati ai margini della
nostra società. Questi sono i giovani da ammirare e portare ad esempio
a coloro che, troppo attaccati ai propri comodi, vorrebbero eludere
il servizio militare…
Ricordo
un episodio accaduto in questo periodo. Ogni sera quattro reclute
a turno dovevano montare di guardia attorno all’accampamento e riferire
poi all’Ufficiale di servizio se tutto procedeva nella normalità.
In una sera calma e tiepida che invitava a dormire, una recluta,
forse più dormigliona delle altre, pensò di non svolgere il servizio
e di lasciarsi andare ad un sonnellino. Si sistemò in prossimità
dell’ingresso dell’accampamento, in una zona buia e non visto, si
addormentò. Ma la notte lo tradì, facendosi improvvisamente di un
chiarore che lasciava vedere anche ad una certa distanza, e spingendo
a transitare in quei paraggi L’Ufficiale di servizio in perlustrazione.
Costui notò con stupore che il <nostro amico> aveva depositato
l’arma e si era addormentato; con tutta calma si impossessò del
fucile e lo portò al Comando. Si può immaginare la disperazione
della recluta al suo risveglio! Tentò di giustificarsi trovando
mille motivi ma niente riuscì a fargli evitare alcuni giorni di
camera di punizione. In fondo..se li era meritati!.
Si
parte da casa col principio che la naja rende i giovani veri uomini.
Questo è vero solo in parte: infatti ci si indurisce alle fatiche
e ai disagi, ma moralmente molti peggiorano, perché invece di abituarsi
alla collaborazione imparano ad arrangiarsi…
Le
voci sul nostro congedo parlano di metà luglio. Che rabbia! Avevamo
contato di congedarci ai primi del mese; ma ecco che il giorno dieci
arriva la notizia definitiva. In ufficio squilla il telefono. Sono
gli amici della sala radio che, ricevuto il fonogramma, ci danno
la notizia. Lascieremo Teramo soltanto il ventisei. Improvvisamente
la giornata, che era incominciata con un sole splendente, cambia
aspetto e tutta la natura è avvolta nel grigiore. Forse il sole
si è ritirato perché ha voluto prendere parte al dolore di noi poveri
congedanti: dolore dovuto a questo rinvio di venti giorni…
Salgo
sul treno e dopo cinque ore di viaggio giugno a Cesena, la mia città,
la città della libertà, che la mattina fredda e gelida del 1° marzo
1962 mi aveva visto partire chiamato a portare il mio piccolo contributo
alla Patria.
Torno
ora col mio bagaglio di esperienze, di cose nuove vedute e ascoltate,
torno dall’aver vissuto tra usi e costumi diversi dai miei di Romagna
e perciò con una mentalità più aperta. Questo periodo rimarrà, non
solo per me, ma per tutti i militari congedati, impresso nella mente
fino agli ultimi giorni di vita. Quando sentiremo vicina l’ora del
tramonto della vita terrena, e ci sembrerà un congedo come quello
di tanti e tanti anni prima, riandremo col pensiero a quel periodo
che forse ci apparirà come il migliore della nostra giovinezza,
e desidereremo per un istante ancora aggrapparci a quei ricordi,
ma amaramente dovremo dire: - Signore, sia fatta la tua volontà
-.