Proseguendo
nelle ricerche storiche degli alpini bolognesi romagnoli, sul
giornale L’ALPINO dell’1 agosto 1934 a pag. 3 si legge che la chiesa
di San Francesco d’Orsina di Calalzo di Cadore verrà restaurata e
dedicata ai Caduti del 7° alpini. La notizia in sé è come tante altre
ma, proseguendo nell’articolo, si trova un curioso quanto ormai dimenticato
motivo che lega gli alpini bolognesi romagnoli a questa chiesa. Tutto
inizia nella lontana guerra 1915-1918 quando fra gli ufficiali in
servizio nel 7° alpini vi è il Capitano Luigi Seracchioli di Bologna.
Per chi possiede copia del libro “Gli alpini della Bolognese Romagnola
1922-1997” questo nome non giunge nuovo, è stato infatti il
primo Presidente di Sezione all’atto di costituzione nel lontano 18 novembre 1922.
Il Capitano Seracchioli, di famiglia benestante, antiquario di professione
e volontario di guerra, per circostanze non ben definite, acquistò
la chiesa di San Francesco d’Orsina a Calalzo con atto notarile stipulato
nel 1919. Ritornato alla vita civile al termine della guerra, lo ritroviamo
fra i promotori e fondatori della Sezione. Nel 1929, con la nomina
a Presidente Nazionale dell’Ass. Naz. Alpini del bolognese
avv. Angelo Manaresi anche lui ufficiale del 7° alpini, nasce in Seracchioli
l’idea di DONARE alla Sede Nazionale questa chiesa affinché diventi
un sacrario dedicato ai Caduti del 7°. L’idea ed il dono sono naturalmente
accolte da Manaresi che ne dispone il necessario restauro e l’inumazione
al suo interno delle spoglie dei Volontari Cadorini caduti nelle insurezzioni
anti austriache del 1848 e 1866 e la consacrazione ai Caduti del 7°
alpini del 1915-1918. Apro una breve parentesi per ricordare che nella
guerra 1915-1918 vi era inquadrata nel 7° alpini, una compagnia di
Volontari Cadorini e, come si legge nella cronaca dell’articolo “
Il capitano Seracchioli ebbe l’onore di comandare per un certo periodo…”.
Domenica 16 giugno 1935, la cerimonia di inaugurazione della chiesa. |
Il Presidente Naz. Manaresi apre attraverso le pagine de L’ALPINO una sottoscrizione
per il restauro e l’arredo necessario comunicando che la chiesa-sacrario
verrà inaugurata in occasione dell’Adunata Nazionale Alpini in programma
nei giorni 16/18 giugno 1935 e riprodotta sulla medaglia coniata per
l’occasione. Nei numeri successivi del giornale, una apposita rubrica
elenca le donazioni e, le sorprese non sono finite, si legge infatti
sul n° 2 del 15 gennaio 1935 “…la voce ed il ricordo dei Caduti
bolognesi echeggerà attraverso le note della bella campana donata
dalla città felsinea…”. Per la cronaca, questa campana viene benedetta
la notte di Natale del 1934 nella chiesa di Sant’Isaia a Bologna alla
presenza del Presidente Manaresi, del Consiglio sezionale al completo,
numerosi Gagliardetti di Gruppo, alpini ed artiglieri alpini bolognesi
romagnoli. Celebra la solenne funzione il Cappellano sezionale don
Andrea Balestrazzi.
La targa marmorea posta sul fianco destro. |
Domenica 16 giugno 1935, come stabilito nel programma,
gli alpini convenuti a Pieve di Cadore all’Adunata Nazionale, si trasferiscono
a Calalzo di Cadore per la cerimonia di consacrazione della chiesetta
di San Francesco d’Orsina divenuta Sacrario del 7° alpini. Fra gli
ospiti d’onore vi è il donatore cav. Luigi Seracchioli di Bologna
(presumo con al seguito un bel numero di consoci). Nel corso della
cerimonia viene scoperta una targa marmorea sulla quale è inciso QUESTA
ANTICA CHIESETTA DI S. FRANCESCO D’ORSINA- DONATA DAL CAPITANO SERACCHIOLI
BOLOGNESE- IL 10° REGGIMENTO ALPINI VOLLE- RESTAURATA- DEDICARE AI
CADUTI DEL 7° ED AI VOLONTARI CADORINI CHE LI PRECEDETTERO SUL CAMPO
DEL SACRIFICIO E DELLA GLORIA.
Questa notizia ha suscitato
ulteriore curiosità e, presi contatti con la sezione Cadore,
l’incredibile conferma che la Chiesa, targa, campana originari sono
ancora la al suo posto. A questo punto l’idea ed il suggerimento che
questo legame meriterebbe certamente di essere rinnovato attraverso
una visita-incontro in Cadore. Gli alpini cadorini ci aspettano con
entusiasmo.
-
Mo co ‘l seinta ben: mè a iò qua duemilaseinzentvinquater franc; se
‘m la da, la tog; si no a pos brisa- .(mi stia ben a sentire io ho qua duemiseicentoventiquattro
lire, se me la da la prendo se no non posso)
L’ufficiale,
un capitano degli alpini, si era espresso in un bolognese piuttosto
serrato e a mezza voce per giunta, come se parlasse a se stesso; come
se riepilogasse ciò che intendeva dire nella famigliarità del suo
dialetto, prima di esprimere la sua offerta in buona lingua corrente.
Ciò nonostante,
l’interloquito capì lo stesso e, scosse il capo in segno affermativo,
allungò la mano per confermare la sua decisione, secondo le norme
commerciali, senza un attimo di esitazione, senza una parola. Se
avesse infatti indugiato in riflessioni sulla esiguità del denaro
che gli veniva offerto; se si fosse soffermato anche un solo istante
in qualche considerazione, sarebbero affiorati nuovamente i sentimenti
che dopo tanto era riuscito infine a dominare e non avrebbe certo
accettato. Troppi vincoli lo legavano a questa vecchia costruzione,
un tempo chiesa della sua famiglia, che ora minacciava di cascare
per davvero, per accettare così di buon grado di disfarsene; la
situazione, d’altronde, era tale ormai da non consentire ulteriori
ritardi, ma una decisione rapida e coraggiosa; perciò aveva accettato,
malgrado tutto: sapeva benissimo che in caso contrario la costruzione
non sarebbe sopravissuta più a lungo.
Andarono
al “ Tiziano “ il caffè quattrocentesco che adorna la storica piazza
di Pieve e servendosi di un semplice foglio di carta da lettere, stesero
una specie di “ atto “ di compravendita che fu letto e firmato da
ambedue, senza avvallo di testimoni, senza sigillo di notaio. L’acquirente
contò quindi nelle mani del venditore il prezzo pattuito fino all’ultimo
centesimo ( a quei tempi i centesimi valevano ancora qualche cosa
) e la chiesetta di S. Francesco d’Orsina, sconsacrata da oltre due
secoli, che la famiglia Palatini, proprietaria, adibiva a deposito
di foraggio, passò a Luigi Seracchiòli di Bologna, ufficiale di complemento
negli alpini. Seracchiòli, che apparteneva al V Gruppo alpini dislocato
sulle Tofane, era diretto a Bologna per trascorrere una breve licenza
dopo il primo inverno di guerra. Si era fermato a Pieve proprio per
concludere l’acquisto della chiesa ( rimasto in effetti senza un soldo,
fu costretto ad attendere pazientemente a Calalzo la tradotta militare
non potendosi servire dei convogli civili ) che aveva scoperto in
un giro di pacifica ispezione per Pieve mentre attendeva giù a Tai,
di essere assegnato al reparto, l’anno precedente. Se la sorte lo
avesse risparmiato, a guerra finita la chiesetta sarebbe stata ripristinata
e, nuovamente officiata, donata agli alpini come tempio votivo.
Ma
i suoi progetti in proposito, i suoi voti, non potevano essere realizzati
che in parte; il commercio di antiquariato che, favorito dalla sua
straordinaria competenza aveva iniziato prosperosamente appena congedato,
al termine del conflitto ( nel giro di pochi anni era riuscito ad
acquistare perfino due o tre palazzi, i quali, anche se non più suoi,
sono distinti, sempre, col suo nome in Piazza della Mercanzia a Bologna
) subì un improvviso rovescio, causa la sua assoluta incapacità amministrativa;
così la chiesetta di S. Francesco d’Orsina, rimasta immune ai sigilli
giudiziari e dai decreti ingiuntivi come un immobile privilegiato,
in considerazione forse della sua nobile destinazione, passò ugualmente
all’Associazione Nazionale Alpini, ma nello stato in cui si trovava
all’atto dell’acquisto da parte del Seracchiòli.
La
chiesa- sacrario di S. Fratesco d’Orsina, è uno dei rari esemplari
di architettura gotica che esistano nel bellunese. Fu fatta costruire
in epoca non precisata dai Palatin di Pieve, una famiglia cadorina
di antico lustro che ha dato valenti uomini alla Serenissima, nota
già per le sue benemerenze acquisite ancora durante la sovranità dei
Patriarchi d’Aquileia, come oratorio privato. Fu sconsacrata poi a
seguito di un omicidio avvenuto secondo la tradizione popolare, nel
corso di una cerimonia nuziale sul finire del XVII secolo e adibita
a deposito di cariaggi e foraggio.
I
fatti politici che si sono verificati in Cadore in seguito alla caduta
di Venezia, all’occupazione napoleonica, al passaggio all’Austria
insieme al lombardo veneto ed infine ai moti d’insurrezione del ’48
e del ’66, ebbero conseguenze nefaste sull’economia del paese; la
maggior parte delle famiglie, specialmente quelle più in vista, ne
subirono le conseguenze, fra queste anche la Palatini che non ebbe
più alcuna possibilità di mantenere efficiente la chiesina esposta
sempre più seriamente alle usure del tempo ed alle erosioni provocate
dall’infiltrazione delle acque alle fondamenta nel periodo dei disgeli,
tantomeno, riottenere la riabilitazione da parte della curia, secondo
le aspirazioni che le generazioni si tramandavano, fedelmente, da
oltre due secoli.
Quando
apparve il capitano Seracchiòli, le speranze dei Palatini, aggravate
dalle circostanze di guerra che aveva subito mobilitata la parte attiva
della famiglia, erano alla fine. Nello stato in cui si trovava, la
costruzione non avrebbe potuto reggere che una decina d’anni al massimo.
Quanto
durerà il conflitto e quali conseguenze avrà per noi? – si domandò
alla fine il vecchio. Davanti a questa alternativa, senza nemmeno
pensarci un istante, acconsentì e allungò la mano, perché il cuore
che gli era salito precipitosamente in gola, gli impediva di parlare
.
La
chiesa, che fino a poco tempo fa non figurava ne tra le guida ne tra
le raccolte di opere d’arte della zona, è stata restaurata, riaperta
al culto e dedicata ai morti del 7° alpini. Due sarcofaghi in pietra,
di cui uno proveniente dagli scavi romani di Ostia, donato al tempio
dal principe Don Piero Colonna, contengono i resti dei cadorini caduti
nelle battaglie del ’48 e del ’66 e la salma di un cappellano cadorino
più volte decorato al valor militare: il parroco di Lavaredo, don
Piero Zangrando!