rassegna stampa da L’ALPINO
periodico dell’Associazione Nazionale Alpini
Una
audace evasione dal Castello di Salisburgo
di Carlo Alfonso Besini *
pubblicato
il 15 novembre 2010
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO
Nel
dicembre dell’anno 1917 a Salisburgo, nel truce, secolare castello
dominante la città intristita dal gelo, tutta bianca di neve, gli
ufficiali italiani prigionieri di guerra, trascorrevano il giorno
in cupa malinconia. Anziani e giovani erano oppressi dalle privazioni
fisiche, dal freddo e dalla fame; erano angosciati dalla nostalgia
della Patria e della famiglia. Ogni cuore fremeva di un palpito
solo, tutte le menti erano tese ad un solo pensiero: la speranza
fervidissima, l’ansiosa attesa della vittoria.
Il castello di Salisburgo |
Il
20 dicembre 1917 giungeva al castello di Salisburgo, con altri ufficiali
italiani prigionieri di guerra, il capitano degli alpini Paolo Monelli,
uomo di vivido ingegno e di generoso cuore, spirito spesso ironico,
temperamento spensierato, nonostante l’avversità del destino. Paolo
Monelli appariva a tutti, amici e nemici, lieto e sereno: dietro
quell’apparenza di buon umore si occultava però una ferma volontà,
una tempra di eroe, che meditava e maturava in silenzio un audacie
piano di evasione.
Studiato
rapidamente, in pochi giorni, con tenacia paziente, ora per ora,
il progetto ardito, il capitano Monelli aveva trovato alcuni compagni
– ardimentosi al pari di lui – disposti ad attuare la fuga dal castello.
Volgeva la fine di quel fosco dicembre 1917, senza sole e senza
sorrisi, quando tutto era ormai pronto. Gli ufficiali, che dovevano
accompagnarsi con Paolo Monelli nell’audace evasione, avevano presi
accordi con altri colleghi, fidatissimi, a cognizione dei piani,
ed avevano astutamente ideati i mezzi più acconci per distogliere
la vigile attenzione degli ufficiali austriaci, e delle scorte.
Dal
comandante del castello si era ottenuto il permesso di organizzare
una parodia di festa, col pretesto di solennizzare l’ultima notte
dell’anno. Il comandante austriaco e l’aiutante maggiore avevano
acconsentito a prender parte alla piccola festa organizzata, ed
era stato concesso a tutti di rimanere alzati sino a dopo la mezzanotte.
Monelli, giovane Sottotenente
a Feltre nel 1915. |
E
così nella notte di capo d’anno, dopo una sobria cena, gli ufficiali
prigionieri facevano cerchio attorno al pianoforte, nella sala maggiore
del castello, vigilati dall’aiutante maggiore austriaco, il quale,
già brillo, zittiva, minacciava ogni volta che dal pianoforte squillavano
le note della Marcia Reale, gli inni di Mameli e di Garibaldi, le
patriottiche, più note canzoni italiane. Intanto Paolo Monelli e
i camerati si calavano, con lenzuoli annodati, da uno dei muraglioni
a picco del castello, scendevano nel bosco ghiacciato, fuggivano
ebri di libertà lungo il fiume vorticoso, giungevano rapidissimi
alla stazione ferroviaria di Salisburgo.
Un
lungo treno merci era fermo nella stazione in attesa della partenza:
gli evasi, manovrando con estrema prudenza, in trepido silenzio,
col respiro sospeso e col cuore in tumulto, raggiunto un carro ferroviario
vi salivano furtivi, e trovavano asilo fra un mucchio di casse,
di ceste, di fusti. La Provvidenza proteggeva gli audaci nel loro
tentativo di fuga verso la Patria.
Il
viaggio felicemente iniziato, fu breve purtroppo, e ben triste per
il ritorno. Un malaugurato colpo di tosse sfuggito ad uno dei fuggiaschi
nascosti nel carro ferroviario, durante una sosta del treno, destò
i sospetti di un manovale, il quale dette l’allarme, e provocò la
cattura.
Scoperti,
percossi, ammanettati, Paolo Monelli ed i compagni ritornarono a
Salisburgo, risalirono fra le baionette austriache, il colle scosceso,
nevoso, battuto dalla tormenta, sul quale si erge il castello.
Il
carcere duro doveva, nella mente limitata del colonnello austriaco,
smorzare per sempre ogni velleità di fuga nel cuore animoso di Paolo
Monelli, e dei suoi: vano concetto, e vana speranza, perché infatti,
a non molta distanza di tempo, il capitano Monelli ritentava la
fuga, ma ancora purtroppo senza riuscire nella temeraria impresa.
l’ultima parte dell’articolo con la firma del
Maggiore Carlo Alfonso Besini
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Queste
righe modeste – che il camerata Paolo Monelli vorrà benevolmente
scusare se gli giungeranno sott’occhio – sono testimonianza veridica
dei fatti, non conosciuti da tutti. Sul campo, nelle trincee, in
prigionia, il Soldato Italiano ha osato l’inosabile, e molti eroismi
sconosciuti meriterebbero invero di essere fedelmente rivelati in
racconti sobri e veritieri, ad esempio e monito delle giovani e
forti generazioni che seguono con slancio di fede e devozione il
Duce, Salvatore della Patria.
Pubblicato
(solo il testo) sul giornale associativo L’ALPINO n°
3 - 1° febbraio 1935.
*
Carlo Alfonso Besini originario di Campremoldo, Piacenza, capitano
del 1° Rgt. Alpini decorato di una medaglia d’argento ed una croce
di guerra al valor militare, ha condiviso con Monelli la prigionia.
Trasferitosi nell’immediato dopoguerra a Ferrara ha ricoperto la
carica di Segretario Generale dell’Amministrazione Provinciale.
Nel 1931 lo ritroviamo fra i promotori per la costituzione di un
Gruppo Alpini del quale è nominato primo Capogruppo. Elevato il
Gruppo a Sottosezione ne diventa Presidente rimanendo in carica
fino al 1943. Nel dopoguerra, è ancora punto di riferimento per
la ricostituzione del Gruppo che finalmente risorge nel 1964, ed
il suo nome apporta prestigio e continuità “alpina”. Per diversi
anni lo si ritrova ancora attivo partecipe alle attività locali,
sezionali e nazionali dimenticando di essere nato nel 1887. Muore
a Ferrara nel 1977.
Per
ulteriori notizie sulla figura di Paolo Monelli, socio d’onore della
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