rassegna
stampa da L’ALPINO
periodico dell’Associazione Nazionale Alpini
MARCO DA IMOLA MASTRO DI
CUCINA
( un gustoso anettodo di una "avventura"
vissuta nella guerra 1915-'18 - n.d.r. )
pubblicato il 15 novembre 2010
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO
il titolo dell'articolo pubblicato a pagina 4 del giornale
L'ALPINO n°13 del 1° luglio 1941 |
Alla mensa dell'Ottantesima (1) si pranzava
tranquillissimamente perchè i Centocinquantadue (meritano
la maiuscola quei dannati) scoppiavano a centro metri a valle
o a monte: e ottimamente perchè mastro di cucina era
Marco da Imola (2).
Un angelo del Deposito di Bologna aveva strappato Marco ai
dolcissimi sorrisi d'una marchesa bolognese; l'aveva incorporato
in una centuria di territoriali comandata da un ex-direttore
di albergo italo-brasiliano a Rio de Janeiro; e messo a disposizione
di un tenente del genio, che non era avvocato.
Un giorno faustissimo aveva sottratto Marco al palo da cui
dondolavano i rotoli rugginosi di retticolato sotto i quali
doloravano le matronali rotonde spalle dell'infelicissimo,
e l'aveva deposto nella cucina dell'Ottantesima dinanzi a
uno stufone... prelevato da una squadra di eroicissimi alpini
che l'avevano trainata per quattr'ore di mulattiera sassosa
dal domicilio legale al domicilio di guerra, con la pazienza
di formiconi attorno a una briciola di pane secco.
E, direttore di mensa l'italo-brasiliano e cuoco Marco da
Imola, rifulsero in quei tre metri quadrati del nostro sacro
focolare tutti i sorrisi della decima Musa, la Gastronomia.
Questa, paffutella e rotondetta come un giambone e leggiadra
come una meringa pannata, incominciava la melodia della sua
cetra quando la finestrella che dava dalla cucina sulla saletta
si spalancava rosea come la schiena dell'Aurora: e nettare
e ambrosia stillavano allora dalle sue mani sui piatti ricolmi
e nella avide bocche azzannanti.
Così il "nostro" pittore Giuseppe
Novello ha ironicamente
rappresentato i cucinieri della naja. |
Licurgo, quello della broda, ci avrebbe presi a randellate;
Catone (quell'originale che non beveva che acqua e aceto quand'era
accaldato e buttava i fichi cartaginesi sul pavimento dell'aula
senatoriale invece di assaporarli come antipasto col salamo)
Catone, dico, avrebbe comandato che fossero sciolti i fasci
dei littori per flagellarci....Abbasso Licurgo e Catone.
Noi eravamo epicurei; e Marco da Imola, il nostro caposcuola,
li avrebbe certamente corrotti con una terrina di maccheroni
alla balsamella e due bracioline alla Bartola e con una sola
cucchiaiata di torta lombarda, di quella torta che piaceva
tanto alla Signora Marchesa.
E, in fin dei conti, era peccato poter finalmente servire
la patria in letizia, sotto l'influenza benigna di quel Re
dei cuochi con le mostrine rosse? Era peccato fare il chilo
del saporoso pasto scavando trincee e alzando frascate e preparandosi
a morire? E la posizione? Ah! quella i signori nemici non
ce l'avrebbero presa mai! Un elemento di trincea in mano al
nemico? Oggi è nostro, domani è tuo, posdomani
ancora nostro. Ma un attacco nemico per...prelevarci Marco,
che dormiva onestamente e saporitamente nel suo padiglione
di Re dei cuochi? Non avremmo conquistato Trento se non con
la santa pazienza? E pazienza e coraggio? Ma il nostro Palladio,
il nostro Marco da Imola era intangibile cone l'onore delle
nostre fiamme verdi, e sacro per noi come per la Signora Marchesa
lontana e aspettante. un giorno (e il ricordo ancora mi scortica
il cuore come uno scarpone nuovo un tallone) , un brutto giorno
funereo arrivò la Sventura. La Dea aveva un visetto
aristocratico con due baffetti biondi, un berretto con una
striscia e due filetti e un'aquila d'oro sulla fronte; e per
genietto accompagnatore un giovanissimo capitano di cavalleria.
Arrivò alle undici e mezzo, attratta certo dall'olezzo
soavissimo traspirante dalla nostra cucina; e arrivò,
come sempre la Sventura, sornionamente, con un viso che parea
dicesse "Ave" e il pugnale nascosto insidiosamente
nel taschino della giubba, dentro la penna stilografica. E
noi le facemmo ala, impalati sull'attenti, quando entrò
nel sacrario della Decima Musa, e la ponemmo al posto d'onore
con ogni riverenza ed ossequio e tanto felici di farla partecipare
della immensa felicità dei nostri palati e dei nostri
succhi gastrici.
La mensa ufficiali del Btg. Alpini "Feltre"
sul M.te Curiol.
S i nota la ricchezza del vettovagliamento. Fotografia
tratta
dal libro "Ricordi di Guerra" di Angelo
Manaresi, a cura di
Roberto Mezzacasa, Nordpress Edizioni.
a
fianco: da questa inedita fotografia possiamo paragonare
il differente
trattamento riservato al "rancio" della
truppa
.
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Oh!
santa colpa di chi si fida! Tu, o sformato di frutte conservate,
fosti la cannonata che ci mandò all'aria il nostro
dolce castello di gaudenti.
La Sventura fu delicatissima, morbidissima, gentilissima,
soavissima; si occupò di tutti noi con grazia e affezione;
passò gli occhi benigni sul direttore di mensa italo-brasiliano;
e volle al suo cospetto, con somma degnazione, per complimentarlo
dello squisitissimo sformato, Marco, Marco il traditore, Marco
il tranfuga, che rispose al sorriso micidiale della Sventura
con una frase poetica, la più nostalgica che potesse
uscire dalla rossa bocca di un cuoco sentimentale: "Ah!
la Signora Marchesa non viveva che di flams".
Frase che fu il motto della nostra pazza disperazione, ventiquattr'ore
dopo, quando un fonogramma chiamò Marco da Imola e
il tenente italo-brasiliano in giù, molto in giù,
in fondo in fondo, dove cantavano le rane e ancora qualche
ragazza sgonnellava tra la puzza della benzina e il fetore
del letame cavallino. E Marco, il divino Marco, il vile imboscato,
ebbe l'audacia di stendere la mano al capitano e a tutti noi,
piangenti, lacrimanti, e sorrideva, il territoriale, al mulo
caricato del suo zaino; e l'italo...(ma che italo! brasiliano!
brasiliano puro sangue) ebbe la sfacciataggine di presentarci
i conti e di pretendere il pagamento.
I due partirono avvolti in una nube infocata d'amore disperato;
un ranciere che da borghese faceva certo l'avvelenatore di
topi, fu promosso cuoco. Licurgo e Catone presiedettero vendicati
alla nostra mensa; e noi amammo, cara e dolce sorella nel
nostro lutto, la Signora Marchesa di Bologna che non viveva
che di Flams!
CAPITANO
RUBIN
Articolo
pubblicato sul giornale associativo L’ALPINO n° 13 - 1° luglio 1941.
note:
(1) Ottantesima, va intesa l'80ª compagnia
del Btg. Alpini "Monviso" del 2° Rgt. Alpini.
(2) Da Imola, va inteso proveniente da, non è
il cognome, che comunque non siamo riusciti ad individuare.
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