Compagno
fedele dell’artigliere da montagna
per
mulattiere e monti del nostro Piemonte;
nelle
marce, sulle strade, per la campagna,
sulle
distese di neve, su tutti i fronti
assieme
a noi viveva alla ventura
come
uno zingaro fra la tormenta ed il gelo.
E mai
che desse un piccolo segno di paura
o che
patisse a dormire sotto il cielo.
E’
Mugno: il più bel mulo della Batteria.
Lo
ricordo come se fosse ora:
puntava
i suoi garretti e se ne andava
per
quelle pietraie deserte: Ed io di dietro
sporco
e sfinito, pieno di polvere, tutto sudato
lo
zaino in spalla pesante come una pietra,
mi
riposavo per qualche tratto di strada
attaccandomi
per non restare indietro.
Nei
momenti infelici, se la nostalgia mi prendeva
chiudendomi
il cuore, stringendolo senza fine
mi
avvicinavo al mulo e quasi sembrava
che
prendesse parte ai miei dispiaceri:
abbracciavo
il suo testone, gli carezzavo
il
nero mantello lucente, le lunghe orecchie
chiamandolo
piano per nome: Gli confidavo
le
intime pene e poi le meraviglie
dei
miei bei giorni passati, aprivo il cuore
parlandogli
del mio campanile, della mia casa,
dei
miei segreti d’amore, delle ore di divertimento,
dei
cari ricordi, degli occhi di una bella ragazza.
Poi
per compenso e a costo di restare senza,
gli
offrivo quello che avevo ancora:
mezza
galletta. E con riconoscenza
più
forte e più stretto lo abbracciavo ancora.
Ma
quando un colpo d’inferno l’ha colpito
sulla
pietraia, inchiodandolo là, squarciato,
in
quel momento, non ho vergogna a dirlo
io
artigliere da montagna ho pianto.