archivio
Giuseppe Martelli
dedicato
agli alpini in armi e in congedo
La PREGHIERA
DELL’ALPINO
nella storia delle generazioni in grigioverde
di Giuseppe Martelli,
autore delle ricerche iconografiche e documentali e dei testi
pagina
aggiornata il : 1° febbraio 2018
la “Preghiera dell’alpino” nella guerra 1940-1945
- capitolo secondo -
Oltre
alla PREGHIERA DELL’ALPINO nella formula ormai più diffusa e recitata,
singolarmente o dal cappellano militare al termine delle funzioni
religiose, nascono altre preghiere dettate dalla religiosità insita
dell’uomo. Queste sono legate e dettate dagli eventi che in questo
periodo si susseguono in situazioni a volte di grande sofferenza e
sacrificio. Un appello alla “Mamma del Cielo”, l’orgoglio della Specialità
di appartenenza, i compagni più sfortunati, l’amarezza e le speranze
nella prigionia, il credo nella differente scelta ideologica, la ribellione
e la lotta per riconquistare la libertà. Queste preghiere si propongono
come esempio in un percorso storico eterogeneo legato alle vicende
della seconda guerra mondiale, che mettono in evidenza come l’uomo
nella spiritualità ritrovi forza e rifugio per superare ogni pena
terrena.
Il
primo esempio è questa PREGHIERA DEGLI ALPINI che compare su L’ALPINO del 15 settembre 1941, composta dal capitano medico Tito
Ferruccio Barbieri del 9° reggimento alpini. Purtroppo non si è riusciti
a rintracciare nessuna notizia biografica su questo ufficiale. Le
uniche testimonianze sono alcuni suoi articoli pubblicati su L’ALPINO dell’1 e del 15 agosto 1941 nei quali
esalta le virtù e l’opera degli ufficiali medici e le gesta degli
alpini del 9° sul fronte greco-albanese.
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LA
PREGHIERA DEGLI ALPINI
O Signore che dall’alto dei monti ai
mortali più sembri vicino, Tu che cantano i venti e le fonti,
che cantano i fiori al mattino, o Signore che comandi alle
stelle, che sull’alto dei nembi troneggi, nei bivacchi, tra
gelo e procelle, dell’Alpino le penne proteggi.
Nella
man la piccozza lucente, per crepacci, per crode sfuggenti,
Tu la corda sostieni clemente, rendi i muscoli nostro possenti.
Difendiam
del Paese i confini dal valore del Re consacrati; noi vogliam
confermare i destini all’Italia del Duce segnati.
Se una
sposa fedele ci attende, se ti prega una mamma lontana, se
sue mani fanciulla ti tende fa che speme non sperdasi vana.
Al mattino
innalziam la bandiera che bell’opre segnacol ci sia; l’ammainiamo
fidenti alla sera se per scolta t’abbiamo, Maria.
Tito
Ferruccio Barbieri
Capitano medico del 9° Alpini
qui per maggior chiarezza è trascritto
il testo della Preghiera |
Questa PREGHIERA DELL’ALPINO IGNOTO è stata scritta dal tenente medico
Giulio Bedeschi del gruppo di artiglieria alpina “Conegliano”
mentre seduto su un muretto della caserma di Osoppo nel giugno
1943, osserva una batteria di muli sul fiume Tagliamento portati
all’abbeverata dai conducenti. I ricordi e le emozioni delle
recenti drammatiche vicende vissute sul fronte russo sono
ancora così vivi ed il pensiero lo riporta nella gelida steppa
russa. Rivede i compagni che non sono tornati, l’ultimo della
colonna rimasto nella solitudine ed immedesimandosi in una
sua preghiera, ne raccoglie lo spirito e l’ultimo pensiero.
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Preghiera dell’alpino ignoto
Tu per
le mie ferite
da cui scese sangue
alla terra alle pietre
al fango alla neve
dovunque passai;
Tu per il mio silenzio
e il mio dolore senza volto
e il mio respiro che cessò
senza lamento
nell’invocare Te;
Tu per il lungo calvario
d’ogni fratello alpino
che giacque infine riverso
in quell’ora e per sempre
simile a me
nella sua stessa offerta;
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Benedici
l’Italia.
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Giulio
Bedeschi era nato ad Arzignano in provincia di Vicenza il 31 gennaio
1915. Conseguita la laurea in medicina all’università di Bologna è
chiamato nel 1939 al servizio militare ed avviato al corso per ufficiale
medico presso la Scuola di Sanità a Firenze. Conseguita la nomina
a sottotenente viene assegnato all’11° reggimento fanteria divisione
“Casale” ed inviato sul fronte greco. Questa sua prima esperienza
di guerra, con la conclusione delle operazioni sul fronte, lo vede
assegnato all’ospedale da campo divisionale dove gli giunge l’ordine
di trasferimento con assegnazione alle truppe alpine della divisione
“Julia”. Rientrato in Italia nella primavera 1942 per il riordinamento
della dissanguata Divisione ed il previsto impiego sul fronte russo,
l’8 agosto riparte. Assegnato alla 13^ batteria del gruppo “Conegliano”
3° reggimento artiglieria alpina, con questo reparto partecipa alle
drammatiche vicende della Campagna di Russia. Questa esperienza sarà
mirabilmente descritta nel suo libro più famoso “Centomila gavette
di ghiaccio” edito nel 1963, premio Bancarella 1964, che ha superato
oggi tre milioni di copie, al quale ha fatto seguito nel 1978, sempre
sull’onda dei ricordi “Il peso dello zaino”. Rientrato nella primavera
1943 con i pochi superstiti e conclusa la licenza, riprende servizio
sempre nella 13^ batteria. I suoi sentimenti umani, la poetica spiritualità,
l’angoscia vissuta per se ed i compagni nella steppa russa escono
spontaneamente e sono trascritti nella Preghiera dell’alpino ignoto come un comandamento che invita a non dimenticare. Un impegno
al quale dedica molte energie e lunghi anni di lavoro, curando la
pubblicazione di numerosi libri della serie “c’ero anch’io”
dedicati ai combattenti di tutte le Armi impegnati sui vari fronti.
Questo suo benemerito lavoro si è purtroppo interrotto con il precoce
decesso avvenuto il 29 dicembre 1990 a Verona, dove si era trasferito
dopo una lunga brillante carriera professionale a Milano.
Questa PREGHIERA DEL PRIGIONIERO IN RUSSIA è stata scritta dal
cappellano militare Don Guido Maurilio Turla del battaglione
alpini “Saluzzo”, durante un periodo di internamento nel marzo
1943 al campo di concentramento di Krinowaja in Russia. Il
manoscritto, nascosto per quattro anni in una scarpa e mai
rintracciato dalle guardie, venne riportata in Italia con
il suo rientro dalla prigionia nel marzo 1946.
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Preghiera
del prigioniero in Russia
O eterno
Iddio di pietà e di giustizia,
effondi
il tuo amore lenitore sui figli oppressi da dura cattività.
Tu
che conoscesti attraverso le sofferenze del Tuo divin Figlio
i
tragici disagi dell’esilio, il “crucifige” del Calvario,
infondi
forza e speranza al nostro spirito, stanco e sfiduciato.
Raccogli
sull’altare del Tuo, del nostro sacrificio tutte le sofferenze:
la
fame, il freddo crudele e la libertà oppressa.
Dalle
sconfinate steppe, dalle immense foreste,
dalle
tundre di questa terra,
benedici
coloro che perseguitano Te e noi.
Con la
tua mano onnipotente spezza gli spinati vincoli che ci riserrano;
non
disperdere, ma richiama e perdona
il
barbaro che ci opprime e ci calpesta.
La Madre
del Tuo divin Figlio,
che ci scampò
dal gelo e dal piombo nemico,
stenda
la mano materna su di noi,
sulle
famiglie lontane che ignorano la nostra sorte.
O
signore dell’infinito!
Restituisci
alla terra in fiamme la Tua pace,
distruggi
col fuoco del tuo amore,
l’odio
profondo che dilania le nazioni e il mondo.
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Don
Guido Maurilio Turla era nato a Sulzano in Provincia di Brescia l’11
ottobre 1910. Entrato nei frati minori cappuccini è ordinato sacerdote
nel 1935 e dopo vari incarichi nei conventi di Albino e Sovere, nel
gennaio 1941 viene assegnato quale cappellano militare al battaglione
“Saluzzo” del 2° reggimento alpini divisione “Cuneense” che opera
sul fronte greco-albanese. Durante questo periodo idea la Madonna
degli alpini tradotta poi al rientro in Italia nel maggio 1941 in
un significativo quadro. Questa immagine, consacrata dall’Ordinario
Militare Mons. Angelo Bartolomasi, viene riprodotta su una cartolina
ed una medaglia adottata da tutti gli alpini. Il 5 agosto 1942 riparte
con il “Saluzzo” destinato al fronte russo, dove ancora si distingue
come sacerdote e soldato meritando nel dicembre la medaglia di bronzo
al valor militare. Con il forzato ripiegamento dal Don, inizia dal
17 gennaio 1943 il suo calvario con le marce forzate ed i combattimenti,
prodigandosi verso i feriti e congelati a rischio della propria vita
ed è decorato di croce di guerra. Il 28 gennaio cade prigioniero a
Waluiki. Internato nel campo di Krinowaja, qui nel marzo 1943 compone
la Preghiera del prigioniero in Russia. La sua opera di dedizione
e carità verso il prossimo, ma anche di sofferenza, prosegue nei campi
di Oranki, Susdal e Odessa fino al 9 luglio 1946 quando finalmente
liberato rientra in patria. Minato nel fisico deve sottoporsi a varie
cure fino all’aprile 1951 quando, sufficientemente ristabilito, è
designato parroco nel centro termale di Boario. Qui si dedica in particolare
alla realizzazione di un tempio dedicato alla Madonna degli alpini
quale voto fatto in prigionia. L’imponente opera portata a termine
nel 1957 viene inaugurata il 29 settembre dall’Arcivescovo di Brescia
con l’intervento di numerose autorità civili ed i suoi mai dimenticati
alpini. Le sue memorie legate alla prigionia, compaiono a puntate
già nel 1946 su alcuni giornali, poi raccolte in un primo libro pubblicato
nel 1948, quindi in un secondo edito nel 1964 dal titolo “7 rubli
al cappellano”. La sua vita terrena si chiude il 17 maggio 1976 ed
è sepolto nella cripta all’interno del tempio con il commosso saluto
degli alpini che ne onorano la bella figura di cappellano militare.
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La medaglietta, di fusione in lega di piombo e stagno, con
l’effige ideata da Don Guido Maurilio Turla. Su una facciata
sono rappresentati i tradizionali fregi per cappello delle
truppe alpine sovrastati dalla frase SI
VA OLTRE, il nuovo
motto imposto dal regime che sostituiva quello tradizionale
storico DI QUI NON SI
PASSA, sull’altra faccia
è raffigurata la “Madonna degli Alpini” dall’idea originaria
di Don Turla. Per gentile concessione del proprietario Fulvio
Miconi già del battaglione Alpini "Exilles", oggi socio del
gruppo alpini To-Alpette della Sezione di Torino.
(testo aggiornato il 1° novembre 2010 con
la precisazione inviata dal nipote Luca Guglielmino, il cui
testo è pubblicato qui sotto)
a fianco, la Madonna degli alpini ideata da Don Guido Maurilio
Turla per accogliere una espressa richiesta degli alpini della
divisione “Cuneense” desiderosi di avere dedicata una Madonna
protettrice. L’idea, tradotta in un quadro dal pittore Guglielmino
Luigi della Scuola E. Reffo di Torino, raffigura la Vergine
seduta su un trono di nubi con in grembo il bambino Gesù che
stringe in mano delle stelle alpine in atto quasi di lasciarle
cadere, come benedizione, su una colonna di alpini e muli
che sale per la montagna. Custodita durante il periodo bellico
nella caserma di Cuneo poi in Municipio, il 3 novembre 1946
con un’imponente manifestazione venne collocata nel santuario
di San Maurizio a Cervasca dove ancora oggi è custodita. (collezione
personale)
Sono
l'alpino Guglielmino Luca ex Btg. Susa e sono il nipote del
pittore Guglielmino Luigi che eseguì il quadro della
Madonna degli Alpini su istanza di Don Turla. Ora nel tuo
archivio che peraltro é interessantissimo e curioso,
in prossimità della foto di tale quadro é scritto:
" L'dea tradotta in un quadro dal pittore Guglielmino
Favaro della scuola E. Reffo di Torino.......".
Occorrono qui alcune precisazioni .
Il Reffo che fu allievo del Ferri alla Regia Accademia Albertina
nel XIX secolo, ebbe come discepolo mio nonno Guglielmino
Luigi che studiò appunto alla Scuola Reffo presso il
Collegio Artigianelli di Corso Palestro a Torino ove si trovano
tutti i cartoni -almeno quelli salvati dai bombardamenti del
secondo conflitto mondiale- di mio nonno. Pietro Favaro a
sua volta fu il successore di mio nonno e non escludo abbia
restaurato il quadro. Quindi non esiste Guglielmino Favaro,
ma si deve correggere solo mettendo come esecutore Guglielmino
e come restauratore Favaro. Io ne ho una riproduzione in cartolina
bianco e nero. Il Reffo visse dal 1831 al 1917; il Guglielmino
visse dal 1887 al 1962 e il Favaro dal 1912 al 2000.
Spero di aver recato un contributo all'archivio.
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Dopo
tre anni di durissima prigionia iniziata nel gennaio 1943, questa
PREGHIERA DEL PRIGIONIERO è l’ultima scritta nel dicembre 1946 dal
tenente Italo Stagno del Comando 1° reggimento alpini nel campo di
concentramento a Kiev in Russia. Strappata dalle guardie, è stata
riportata e riscritta a memoria in Italia nel 1954 dal S. Ten. medico
Enrico Reginato, medaglia d’oro al v. m., che ha condiviso le pene
di prigioniero con il valoroso ufficiale. E’ stata pubblicata per
la prima volta nel libro di memorie di un altro eroico prigioniero,
il cappellano militare medaglia d’oro al v. m. Don Giovanni Brevi,
“Russia 1942-1953” Garzanti Editore Milano 1955, dove ne rievoca la
nobile figura.
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Italo
Stagno era nato a Cagliari nel 1902. Dopo aver frequentato la scuola
allievi ufficiali di complemento, svolge nel 1937 il servizio come
sottotenente nel 7° reggimento alpini. Alla sua conclusione rientra
quale funzionario del Ministero delle Corporazioni a Roma fino al
successivo richiamo per istruzione nell’ottobre 1939. Ripresa la sua
attività professionale, è già una nota figura del sindacalismo nazionale,
valente giornalista e deputato al parlamento, viene promosso al grado
di tenente dal 1° gennaio 1940 ed il 2 ottobre 1941 è richiamato in
servizio per mobilitazione. Assegnato a disposizione del reparto comando
del 7° reggimento alpini divisione “ Pusteria ” che opera in Montenegro,
lo raggiunge in zona di guerra. Rientrato in Italia nel giugno 1942
è trasferito al 1° reggimento alpini della divisione “Cuneense” e,
assegnato al comando reggimentale, il 28 luglio parte per il fronte
russo. Il 25 settembre è in linea sul Don. Con la grande offensiva
russa del gennaio 1943, il 17 inizia con l’ordine di ripiegamento
la tragica odissea. Nei giorni che seguono emergono le sue doti che
lo vedono, con eroici slanci, battersi sempre alla testa dei suoi
uomini. Dopo dieci giorni di marce forzate ed aspri combattimenti,
il 28 gennaio a Valujki sopraffatto dopo disperata resistenza viene
catturato. Inizia così il calvario della prigionia affrontata in ogni
circostanza con fierezza e generoso altruismo nei campi di concentramento
a Susdal, campo 171 a Kazan, campo 5 a Kiev. Subisce più volte punizioni
quale organizzatore di clandestine S.Messe, per le aperte difese dei
compagni colpiti da ingiustizie e illegali vessazioni e per aver sempre
respinto come ufficiale la revisione del proprio passato. Più volte
leva la voce sopra tutti per esortare e ricordare il giuramento e
il dovere di essere degni della bandiera e della fede per la dignità
e memoria dei compagni caduti. Fra il novembre e dicembre 1946 scrive
due sublimi lunghe preghiere che ne raccolgono ed evidenziano tutto
il nobile animo. Colpito da grave morbo viene internato al Wald-Lazaret
dove muore il 24 settembre 1947. Alla memoria dell’eroico ufficiale
viene decretata la medaglia d’oro al valor militare.
A
seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, con la costituzione
della Repubblica Sociale Italiana, il 28 ottobre viene emanata la
legge costitutiva di un Esercito Repubblicano. Nel mese di novembre
si ha la prima chiamata alle armi, concentrata al nord, e le reclute
accolte nelle caserme sono inviate al Centro Costituzione Grandi Unità
di Vercelli. Nel febbraio-marzo 1944 il bando chiama le classi 1924
e 1925 per approntare tre divisioni di fanteria ed una alpina, il
cui addestramento secondo gli accordi con il governo tedesco deve
effettuarsi in Germania. Molti sono anche coloro che per scelta politica,
ritenendo giusta la fedeltà al regime, accorrono volontariamente per
formare il nuovo Esercito. La divisione alpina “Monterosa” viene addestrata
nel campo di Mùzingen fino al luglio 1944. I 19 mila alpini che costituiscono
la forza della divisione rientrano in Italia dal 18 luglio destinati
inizialmente nella riviera di levante. Dopo un primo periodo di stasi
in Liguria, diversi suoi reparti sono inviati sul fronte della Garfagnana
ed in Piemonte dove sostengono duri combattimenti contro le forze
alleate.
Nell’aprile
1945 con lo sfondamento del fronte a Bologna anche la “Monterosa”
è coinvolta, i reparti dislocati in Garfagnana e Liguria tentano il
ripiegamento verso nord ma circondati da forze preponderanti sono
costretti ad una dignitosa resa. Sorte diversa hanno invece i reparti
dislocati in Piemonte che, a resa avvenuta nelle mani delle forze
partigiane, sono oggetto di rappresaglia e sommarie fucilazioni. Va
comunque segnalato un episodio, unico nel suo genere, poco conosciuto
ma degno di nota, che evidenzia il riconosciuto amor patrio degli
alpini. Episodio esemplare, in quanto vede alleati gli alpini della
Repubblica Sociale Italiana ed i partigiani del Comitato di Liberazione
Nazionale aostano, uniti negli ultimi giorni di guerra fino al 7 maggio
1945 a difesa del passo del Piccolo San Bernardo in Val d’Aosta contro
le truppe francesi che tentano invano di entrare da conquistatori
nella valle. Scesi ad Aosta, gli uni e gli altri sfilano fra gli applausi.
La guerra è conclusa e con essa anche la breve storia della divisione
alpina “Monterosa”.
“Santino” con la preghiera dell’Alpino realizzato a cura del cappellano militare Padre
Don Claudio Enrico Bianchini (già citato nel capitolo primo)
in forza al battaglione “Tirano” divisione alpina “Monterosa”,
in occasione del Natale 1944.
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Il Capp. Milit. del “Tirano”
P. Claudio Enrico Bianchini C. S. J. |
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“Santino” con la preghiera dell’Alpino tratta dal pieghevole distribuito sul fronte occidentale nel marzo 1945 presso il Raggruppamento alpini “Farinacci” della divisione “Monterosa”. Documento
gentilmente concesso dall’Associazione Divisione “Monterosa”.
Il testo della Preghiera è uguale in
entrambi i documenti.
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Documento gentilmente concesso dall’Associazione
Divisione “Monterosa”.
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Questa
PREGHIERA DELL’ALPINO DEL “BRESCIA”, scritta dal cappellano militare
padre Cristofari Antonio, conferma come aldilà delle libere scelte
ideologiche o dettate dalle circostanze, l’alpino, in quanto tale,
mantiene intatto il senso del dovere e la propria religiosità. Non
esistono buoni e cattivi, vincitori e vinti, ognuno era convinto di
essere nel giusto fino all’estremo sacrificio. In questa ottica deve
essere letta la preghiera, espressione etico-religiosa dell’uomo,
del soldato, alla quale si affida in ogni situazione, scelta o imposta
dal periodo storico vissuto.
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Antonio
Cristofari era nato l’11 novembre 1910 a Carmignano di Brenta in provincia
di Padova. Seguendo la vocazione religiosa sceglie l’esperienza francescana
entrando nel collegio serafico dei Fratini di S. Antonio a Chiampo,
Vicenza. Seguendo le regole dell’Ordine prosegue il percorso prima
a Monselice poi a Cormons, Gorizia, dove riceve l’ordinazione sacerdotale
il 14 luglio 1935 assumendo il nome di padre Paolino. Qui trascorre
i primi anni di attività apostolica e predicazione fino al 1938 quando,
ricevuta la nomina a vice rettore, rientra nel collegio di Chiampo
dove rimane fino al 1943. Con gli eventi legati all’8 settembre e
la successiva costituzione della 2^ Sezione dell’Ordinariato Militare
con sede a Verona, tutte le curie vescovili e le curie provinciali
degli Ordini religiosi, ricevono l’invito ad assicurare l’assistenza
spirituale alla gioventù in armi del nord. Padre Paolino accoglie
l’invito e nella primavera 1944 riceve la nomina a cappellano militare.
Assegnato alla divisione alpina “Monterosa”, viene destinato al battaglione
“Brescia” del 2° reggimento alpini seguendone le vicende belliche
in Liguria, Garfagnana e Piemonte. Compreso della sua missione di
sacerdote e per essere sempre vicino ai propri alpini, scrive per
loro una Preghiera dell’Alpino del “Brescia” distribuita per
l’ultima volta in occasione della Pasqua 1945. Pochi giorni dopo,
dislocato con il proprio reparto nella Val d’Orco in Piemonte, conclude
la sua esperienza di cappellano militare. La guerra è finita. Congedato,
rientra in convento a Vittorio Veneto mantenendo contatti e relazioni
epistolari con vari compagni e famigliari che a lui si rivolgono nella
speranza di avere notizie sui loro cari caduti in guerra. In questo
periodo matura la volontà, più volte espressa, di svolgere servizio
in terra di missione. Nel 1949 il suo desiderio viene accolto e parte
per l’Argentina dove gli è affidata la parrocchia di San Francisco
Solano nella città di Rosario di Santa Fe. Nel 1957 rientra dall’Argentina,
dove lascia un grato e profondo ricordo, per essere destinato quale
superiore dei frati cappellani degli operai italiani in Belgio nella
città di Liegi e paesi vicini, dove rimane per vent’anni fino al 1977.
La sua vocazione missionaria di servizio ai più diseredati ed emarginati
è sempre forte e dopo l’ennesima richiesta parte per il Guatemala.
Viene destinato prima ad una poverissima parrocchia nel versante dell’Atlantico,
a Quiriguà, operando in un vastissimo territorio montano con una quarantina
di comunità, poi a Patzùn, in alta montagna, nel centro della repubblica,
dove viene coinvolto dalla guerra civile e più volte rischia la vita
per difendere e salvare i suoi parrocchiani ingiustamente perseguitati.
Il suo peregrinare non ha sosta, viene chiamato quale assistente spirituale
nell’ospedale francescano per disabili e handicappati della città
di Antigua Guatemala dove cominciano i primi attacchi della malattia
che lo porta suo malgrado al rientro in Italia con la speranza di
rimettersi in salute e successivo ritorno alla missione. Ricoverato
nella casa di cura a Saccolongo, Padova, qui muore l’11 gennaio 1999.
Al rito funebre che si svolge nella chiesa del paese nativo a Carmignano
di Brenta, la bara coperta con il tricolore viene scortata dagli alpini
con gagliardetto e sepolta nella tomba di famiglia.
Questa
preghiera SIGNORE FACCI LIBERI è stata scritta nel 1944 dal sottotenente
Teresio Olivelli del 2° reggimento artiglieria alpina gruppo “Bergamo”,
partigiano cattolico combattente nella resistenza, medaglia d’oro
al valore militare. Nella preghiera compaiono tutte le ragioni religiose
della sua rivolta, senza odio per il nemico, ma con l’avversione decisa
verso l’ideologia che nega la giustizia sociale per la quale aveva
lottato fino al supremo sacrificio, divenendo “ribelle per amore”.
Signore facci liberi
Signore che fra gli uomini drizzasti la Tua
Croce segno di contraddizione,
che
predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le
perfidie e gli interessi dei dominanti,
la
sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo numeroso
e crudele
che
in noi e prima di noi ha calpestato Te, fonte di libere vite,
dà la forza della ribellione.
Dio che
sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi, alita nel nostro
proposito, tendi la nostra volontà,
moltiplica
le nostre forze, vestici della Tua armatura.
Noi ti
preghiamo, Signore.
Tu che
fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso,
nell’ora
delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria:
sii
nell’indulgenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza.
Quanto
più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Nella
tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo
fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente
a
quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che
dicesti “Io sono la resurrezione e la vita”
rendi
nel dolore all’Italia una vita generosa e severa.
Liberaci
dalla tentazione degli affetti:
veglia
Tu sulle nostre famiglie.
Sui monti
ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo:
sia
in noi la pace che Tu solo sai dare.
Dio della
pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia,
ascolta la preghiera di noi
“ribelli
per amore”.
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Teresio
Olivelli era nato il 7 gennaio 1916 a Bellagio in provincia di Como.
Di famiglia borghese e religiosa, il giovane Teresio ne vive la cultura
e le scelte morali. Dopo le scuole elementari prosegue gli studi nel
ginnasio a Mortara poi al liceo di Vigevano quindi ammesso nel collegio
universitario Ghisleri di Pavia dove si laurea in diritto amministrativo.
Di profonda fede religiosa che segna tutta la sua vita, pur schivo
agli incarichi, a lui sono affidate cattedre e direzioni in vari istituti
e riceve numerosi inviti a svolgere interventi oratori in occasione
di Convegni. Fra questi, ai litoriali di Trieste nel marzo 1939, al
congresso giuridico internazionale di Genova, al convegno di studi
giuridici in Roma e al primo convegno universitario italo-tedesco
dell’ottobre 1940 a Bologna. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel
giugno del 1940 e le successive drammatiche vicende sul fronte greco-albanese,
come molti giovani suoi coetanei sente il dovere verso la Patria e
nel febbraio 1941 si arruola volontario. Assegnato al deposito del
3° reggimento artiglieria alpina viene inviato ad Aosta alla scuola
militare di alpinismo dove consegue il grado a sergente. Inviato al
corso allievi ufficiali di Lucca ne esce nel maggio 1942 con il grado
di sottotenente destinato al 2° reggimento artiglieria alpina. Svolto
il servizio di prima nomina e rientrato questa volta come Rettore
nel collegio Ghisleri, in luglio viene richiamato in servizio e, assegnato
alla 31^ batteria del gruppo “Bergamo” divisione alpina “Tridentina”
parte per il fronte russo. Nella sfortunata Campagna si distingue
in particolare durante il drammatico ripiegamento per la volontaria
dedizione verso i feriti, attardandosi in più occasioni con gli ultimi
della colonna per seppellire i morti e rincuorare i suoi artiglieri.
Rimpatriato in Italia con i reduci nella primavera 1943 , è in servizio
nel deposito reggimentale a Merano quando sopraggiunge l’armistizio
dell’8 settembre. Catturato dai tedeschi a Vipiteno è inviato al campo
di Hall dal quale riesce a fuggire. Ripreso e destinato al campo di
Regensburg evade nuovamente. Ancora ripreso e destinato al campo di
Markt Pongau, questa volta la sua fuga ha successo. Rientrato in Italia
sceglie la lotta armata aggregandosi prima a Brescia poi a Milano
alla formazione partigiana “Lunardi” delle “Fiamme Verdi”, divenendo
nel febbraio 1944 comandante di battaglione. In questo periodo collabora
al giornale clandestino “il ribelle” dove pubblica la sua Preghiera
dei Ribelli. Arrestato a Milano il 1° aprile 1944 subisce barbari
interrogatori dai tedeschi che non riescono a piegarne la volontà
di “ribelle per amore”. Internato a Fossoli tenta la fuga per la quale
è trasferito prima nel campo di Bolzano poi a Flossemburg, quindi
al campo di eliminazione di Herzbruk in Germania dove subisce ancora
inaudite sofferenze. La sua profonda fede lo porta ancora ad essere
esempio di totale dedizione verso i compagni nel conforto religioso
e fisico, disdegnando il già misero cibo per lasciarlo ai più deboli.
Nel gennaio 1945 l’ultimo suo generoso gesto lo vede slanciarsi in
difesa di un compagno brutalmente percosso. La reazione della guardia
è immediata e verso di lui rivolge tutta la rabbia infliggendogli
numerose bastonate che lo riducono in agonia. Consapevole della imminente
fine trascorre gli ultimi giorni in preghiera, donando anche i poveri
abiti che indossa. Muore il 12 gennaio 1945 ed il suo corpo viene
bruciato nel crematoio. Con decreto del 16 aprile 1953 firmato dal
Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi, gli viene
conferita alla memoria la medaglia d’oro al valor militare. Negli
anni ottanta è iniziata la procedura per la causa di canonizzazione
che lo vedrà, quale artigliere alpino, fra i Santi della chiesa cattolica.
In data di sabato 3 febbraio 2018 con partecipata funzione religiosa svoltasi a Vigevano, è stato proclamato Beato della Chiesa Cattolica.
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