Le
ricerche non finiscono mai di stupire. Nel rileggere e catalogare gli oltre 8.000 ruoli matricolari ritrovati (al 1° settembre 2022) emergono continuamente conferme di notizie e nomi di tanti "alpini", ma anche inedite storie e personaggi ormai dimenticati con il passare delle generazioni, che vanno ad arricchire inaspettatamente notizie e curiosità sugli alpini bolognesi romagnoli, come questa......
Alfredo Ravaldini nasce a Gatteo, Forlì, il 14 novembre 1919, residente nella frazione di Fiumicino. (Gatteo è un paesotto sull'Appennino forlivese, da non confondere con Gatteo a Mare che ne è una frazione n.d.r.)
Chiamato alla visita di leva il 28 settembre 1939 è lasciato in congedo e indicato che svolge la professione di colono.
il suo ruolo matricolare rintracciato |
Chiamato alle armi il 14 marzo 1940 viene assegnato all'11° Raggruppamento Artiglieria di Corpo d'Armata in Cormons, Gorizia. Per la sua esperienza pratica dei trattori viene scelto per frequentare il corso d'idoneità per conduttore di autocarri. Il 6 aprile 1941 viene mobilitato ed inviato in zona di guerra alle frontiere italo-jugoslavo e albanese-jugoslavo in Balcania. Il 30 settembre rientra in Italia per rimpatrio via terra ed il 10 novembre gli è concessa la licenza agricola di giorni 30.
Rientrato dalla licenza continua la "normale naja" ed il 7 febbraio 1942 tutto l'11° Raggruppameto Art. di Corpo d'Armata viene mobilitato. In previsione dell’invio di un Corpo d’Armata Alpino sul fronte russo, il reparto diventa 11° Raggruppamento Art. di Corpo d’Armata Alpino.
Il 20 luglio 1942 cappello alpino in testa, ed assegnato al 117° gruppo artiglieria alpina 11ª batteria, parte per la Russia. Il 28 dicembre affonta un duro combattimento contro le forze russe in località Nowo Karkovka e la sera, effettuato il contrappello dei presenti, viene dichiarato disperso nel fatto d'armi. Il 23 aprile viene dichiarato irreperibile ed il 28 maggio viene rilasciata dichiarazione di irreperibilità dal comando dell'11° Raggruppameto Art. di Corpo d'Armata Alpino e comunicato al Distretto militare di Forlì per comunicazione ai famigliari.
Il 30 marzo 1946 inaspettatamente rientra in Italia, in quanto liberato dai russi dalla prigionia. Nel frattempo la famiglia si era trasferita nella vicina cittadina di Gambettola, come indicato sul ruolo matricolare : Residenza eletta all'atto dell'invio in congedo : Gambettola, via Buozzi 30.
Sul ruolo matricolare in data 7 settembre viene annotato : annullato il verbale di irreperibilità perchè prigioniero in Russia ed inviato in licenza di rimpatrio di giorni 60. NESSUN addebito può essere elevato in merito alle circostanze che determinarono la cattura e al comportamento tenuto durante la prigionia di guerra.
Al termine della licenza è ricoverato, dal 14 maggio 1946, all'ospedale militare di Ancona per visita di controllo dove viene accertata la ferita riportata durante il combattimento nel quale venne fatto prigioniero, ed è inviato in ulteriore licenza di convalesenza di giorni 90 più altri 30.
Il 27 novembre dopo ulteriore visita all'ospedale militare di Ancona viene dimesso ed inviato il licenza speciale in attesa del trattamento di quiescenza (indennità di servizio n.d.r.) e nello stesso giorno viene collocato in congedo illimitato.
Quanto scritto sul ruolo matricolare viene approvato dalla Commissione interrogatrice Prigionieri di Guerra del Distretto di Forlì in data 26 gennaio 1949.
...e questa e la sua inedita "storia militare"....
da artigliere alpino prigioniero in Russia a centauro "sovietico"
(le ulteriori notizie civili-sportive sono tratte da interviste rilasciate nel corso degli anni n.d.r.)
Ferito nella battaglia del 28 dicembre 1942 e fatto prigioniero, viene internato in un campo di lavoro in Siberia come addetto al disboscamento. Presto viene notata la sua grande pratica con i trattori e la meccanica ed è ribattezzato il «genio della meccanica». Per questa sua particolare attitudine gli viene consentito di rimanere nel capannone officina dove il trattore è lasciato acceso anche di notte per evitare il congelamento della meccanica e questo gli consente di sfruttarne il calore.
Fra i carcerieri vi è anche il Sotttotenente dell'Armata Rossa, la bella Zinaida. Fra i due, prima vi è un rapporto carceriere e prigioniero, poi sempre più amici quindi innamorati, tanto da "mettere su famiglia" e diventare padre di tre figli. Con la liberazione dalla prigionia avvenuta il 30 marzo 1946, la nostalgia dei famigliari che non ne conoscono la sorte e lo piangono, ed anche per "dovere" di soldato e italiano, rientra inaspettatamente con moglie russa e tre figli. Trova la famiglia che nel frattempo si era trasferita nella vicina Gambettola.
Poco dopo apre una officina a Gatteo, ma gli affari non vanno bene e decide di trasferirsi a Terni, in Umbria, dove ha fra i clienti con il quale stringe amicizia, il giovane, poi campione mondiale di motociclismo, Libero Liberati (Terni, 20 settembre 1926 – Terni, 5 marzo 1962 n.d.r.) che gli insegna i segreti del motociclismo professionistico.
Sicuramente portato per questo particolarte sport che pratica con la sua Guzzi nei giorni festivi, molto probabilmente avrebbe avuto l'occasione di prendere parte ai Gran premi del campionato del mondo di motociclismo se non fosse stato costretto a rientrare in Unione Sovietica. Le sue doti di «genio della meccanica» erano sicuramente innate ; nell'ultimo anno di "prigionia" si era messo ad elaborare anche i motori dei carri armati, trasformandoli da benzina in gasolio ed era riuscito a convertirli persino a carbone.
Sua moglie Zinaida, a causa dell’impegno politico con il partito comunista era stata bollata come "indesiderata" e immediamente era scattato il foglio di via dall’Italia. Cosi, quando nell’autunno del 1956 i carrarmati russi entrano a Budapest, Ravaldini era già rientrato in Russia ed era già stato tesserato dal Moto Club di Leningrado.
in sella alla Izh 350 |
in sella alla Vostov S 358 |
il francobollo che lo immortala sulla rossa Izh 350 |
Ben presto diventa un pilota di talento, fedele all’ottima tradizione italica, in sella alla Izh 350 che con maestria da meccanico aveva elaborato con le sue stesse mani. Dal 1957 al 1969 diventa popolarissimo come un fenomeno anche quando passa alla rossa bicilindrica Vostov S 358 sempre nella classe 350, che i russi decidono di immortalare per sempre in un francobollo da 10 copechi emesso dal governo sovietico nel 1961.
Per i numerosissimi successi diventa "maestro dello sport" titolo rarissimo per uno che non era nato nell’Unione Sovietica e che gli consente di diventare anche "istruttore".
- "Ci davano 60 rubli in più per tenere lezioni di alta velocità - ricorda Ravaldini - le lezioni le davo anche alle donne che avevano un loro campionato a parte, ma potevano gareggiare al massimo su una 125 di cilindrata"-.
Tutto era limitato sotto il regime comunista e anche i 60 rubli extra che percepiva da istruttore vennero presto requisiti da Nikita Krusciov (segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica dal 1953 al 1964 n.d.r.) che considerava quella somma superflua. Gli erano comunque sufficenti i rubli che guadagnava con i piazzamenti e le vittorie nei motodromi di Riga, Tallin, Kiev, Kaunas, Viliandi e molti altri in cui la sua moto veniva salutata da migliaia di tifosi appassionati dell’Italiano che continuava nelle vittorie. Il campionato sovietico si svolgeva solo all’interno dei confini con qualche sconfinamento nei più vicini paesi socialisti come la ex Cecoslovacchia.
Nel 1969, a cinquant'anni di età, decide di lasciare le corse motociclistiche come pilota.
Si scrive all'Università di Puskin e dopo sei anni di intensi studi, a 56 anni diventa per tutti l’ingegner Ravaldini e viene assunto come docente nell’Istituto Tecnico di Leningrado nella materia di specialista di pompe e iniettori per motori diesel, rimanendovi fino alla pensione.
Con la "nostalgia romagnola nel cuore" rientra a Gambettola dove pochi mesi dopo decede il 22 settembre 2002 e il suo nome è inciso solo sulla semplice tomba del piccolo locale cimitero.
A Gatteo a lui è dedicato il "Museo Amarcord" di auto e moto d'epoca ideato dall'appassionato Pietro Zani, che lo aveva conosciuto nel 1946, al rientro dalla Russia. Il museo è stato ideato in collaborazione con i figli Alessandro e Werther.