cenni storici sulla figura del cappellano militare
di Giuseppe Martelli
pubblicato il 15 dicembre 2003
L’assistenza
religiosa ai soldati chiamati a combattere è una esigenza da sempre
recepita nella storia di tutti i popoli. In Italia le prime notizie
documentate risalgono agli Etruschi, dall’800 al 500 avanti Cristo,
presso i quali esisteva una magistratura sacerdotale guerriera continuata
poi negli ordinamenti civili e militari di Roma. L’Imperatore Costantino
durante il suo regno dal 324 al 337 dopo Cristo, abbracciando il cristianesimo
volle presso ciascuna Legione i sacerdoti ed una tenda per il culto
religioso. Nel medioevo la fusione divenne totale e sorsero diversi
Ordini di monaci cavalieri. Nell’evo moderno si ha un costante graduale
distacco fra sfera religiosa e quella politica e nessuna delle due
ammette l’ingerenza dell’altra. L’assistenza spirituale ai soldati
viene assunta spesso in forma volontaria prevalentemente dai frati
degli Ordini Domenicani, Francescani, Gesuiti e Cappuccini.
il
famoso “carroccio”, realizzato per l’assistenza
religiosa
ai soldati sul
campo
di battaglia
|
Fra
il 1500 e 1700 su richiesta dei comandanti delle varie armate, la
figura dell’assistente spirituale era designata dal Pontefice che
nominava al seguito il Cappellanus Militiae (cappellano militare)
per il solo periodo delle Campagne anche estere, ed in questo caso
erano in gran parte designati fra i missionari già presenti sul territorio.
Va precisato che in questo periodo la funzione del cappellano militare
era quasi totalmente ricoperta dai frati ed in particolare dai Minori
Cappuccini con una presenza limitata all’interno degli ospedali da
campo. Il primo concetto moderno si ha nell’esercito piemontese che
reinserisce nei Reparti questo servizio. Nel 1859 si contano circa
40 cappellani “permanenti” suddivisi fra i Reggimenti e le Scuole
Militari, questi ultimi più propriamente chiamati direttori di
spirito. Anche negli altri Stati dell’Italia si era diffusa l’assistenza
religiosa ai soldati e man mano che le nuove province venivano annesse
al Piemonte, anche la figura del cappellano era incorporata nel crescente
nuovo esercito. Alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 i quadri
del clero nell’esercito era di 189 cappellani. Negli anni successivi
questo numero, ritenuto eccessivo ed oneroso per lo Stato, venne gradatamente
ridotto e nel 1878 si ha la definitiva scomparsa dei cappellani “permanenti”
dalle forze armate italiane. Questo non significa che il servizio
fosse abolito, i Comandanti dei reparti potevano di volta in volta
richiederlo per le funzioni festive e l’insegnamento religioso nelle
Accademie. A pieno titolo rimasero solo i cappellani degli ospedali
dipendenti dal Corpo Sanitario del quale adottano fregi e distintivi.
Con la nascita della Croce Rossa Italiana, che si avvale di personale
regolarmente arruolato, si costituisce il Corpo Militare Ausiliario.
Nel 1887 viene stipulata una convenzione fra il presidente della Croce
Rossa ed il Ministro Generale dell’Ordine dei frati minori cappuccini
che si impegna a fornire 60 cappellani nominati fra gli ascritti
alla Milizia Territoriale del Regio Esercito. Questi cappellani,
esenti dall’indossare la divisa, portano il tradizionale saio francescano
e quale segno distintivo il bracciale della Croce Rossa sul braccio
sinistro.
Nella
Campagna d’Eritrea del 1896 ed in Libia del 1911-’13, i soldati italiani
hanno con loro proporzionalmente pochissimi sacerdoti reclutati per
gli ospedali nel Corpo della Sanità e fra i cappuccini mobilitati
dalla Croce Rossa. Papa Pio X ritenendo questa situazione inadeguata
allo spirito cristiano, chiese alle autorità di governo che acconsentissero
a tutti i sacerdoti presenti nell’esercito di svolgere, oltre a quello
obbligatorio di soldato, anche il proprio ministero in frangenti tanto
gravi come la guerra. Va precisato che fino dal 1878 preti e chierici
(gli studenti nei seminari) venivano sottoposti come tutti i cittadini
all’obbligo del servizio militare, ma era loro proibito svolgere qualsiasi
attività religiosa presso i Reparti di appartenenza. Si era giunti
all’assurdo che pur avendo presenti un buon numero di sacerdoti, i
soldati fruivano di una scarsa e a volte inesistente assistenza spirituale.
“santino” della guerra
1915-18 dedicato al
cappellano militare |
Con
la mobilitazione generale del 1915 e l’entrata in guerra dell’Italia
sono chiamati alle armi circa diecimila ecclesiastici. Il governo
ed in particolare il Ministero della Guerra al cui vertice vi è il
generale Cadorna cattolico convinto, affronta subito la questione
nella convinzione che il prete tra i soldati fosse elemento di equilibrio
e di conforto non solo per i feriti e gli ammalati negli ospedali,
ma per tutti i combattenti compresa la prima linea. L’iniziativa dello
Stato, che vede quasi impreparata la Chiesa, trova una rapidissima
intesa. Monsignor Angelo Bartolomasi Vescovo ausiliario di Torino
viene investito dell’autorità di Vescovo di Campo con regio decreto
del 27 giugno 1915 ratificato dalla Santa Sede. A questo ufficio con
sede a Treviso viene affidato la direzione del servizio, l’organizzazione,
il reperimento e rifornimento del materiale religioso, le regole di
disciplina del clero militare, gli affari civili ed ecclesiastici
per i territori occupati, le nomine dei cappellani militari nei reparti
combattenti e le conferme dei cappellani già mobilitati dalle direzioni
di Sanità dei Corpi d’Armata territoriali. Le direzioni di Sanità,
che comprendevano anche il Corpo ausiliario militare della Croce Rossa,
erano i preti-soldato con fregi e distintivi della Sanità e potevano
raggiungere, per meriti particolari, il grado di sergente. La nomina
a cappellano militare che era a tutti gli effetti una promozione spesso
di difficile scelta fra i numerosi sacerdoti che si offrivano volontari,
prevedeva la presenza nei reparti combattenti dei quali ne indossavano
la divisa, fregi ed emblemi con la sola differenza di una croce di
panno sul lato sinistro della giubba. Anche il grado militare aveva
un suo ordinamento, il Vescovo di Campo era parificato a maggiore
generale, i Vicari del vescovo a maggiore, i coadiutori dei Vicari
a capitano ed i cappellani a tenente. Questi gradi erano effettivi,
compreso lo stipendio ed i doveri di un ufficiale. Molti sono risultati
i casi di tenenti cappellani che per esigenze del momento o volontariamente
hanno assunto il comando di reparti guidandoli all’assalto. Ben 93
sono stati i cappellani caduti ed oltre 100 i prigionieri che seguirono
i propri reparti nei campi di prigionia. Nel corso del conflitto risultano
in servizio come cappellani militari 2048 sacerdoti su diecimila preti-soldato
mobilitati. Alto è anche il numero delle decorazioni conferite al
valore militare: 3 medaglie d’oro, 137 medaglie d’argento, 295 medaglie
di bronzo, 95 croci di guerra.
Con
l’armistizio del novembre 1918 e la conseguente smobilitazione dell’esercito
viene trattenuto un certo numero di cappellani per il servizio ordinario
nei reparti e la pietosa raccolta dei caduti sui campi di battaglia
e la loro tumulazione nei 2300 cimiteri di guerra. Completate queste
esigenze di servizio i cappellani in soprannumero furono inviati in
congedo come qualsiasi militare e smessa la divisa ritornarono nelle
parrocchie per riprendere il normale ufficio di sacerdote. Per spirito
di Corpo ed i legami con i compagni d’arme, molti aderiscono come
soci e pari riconoscimento di ex combattenti nelle varie associazioni
d’arma che nascono nell’immediato dopoguerra, partecipando alle attività
associative ed in alcuni casi assumendone all’interno cariche direttive.
In questo primo dopoguerra comincia a delinearsi l’idea di istituire
un Corpo di cappellani militari anche in tempo di pace, sancita con
una legge del 1926 che indica ufficialmente la nascita ed il riconoscimento
dell’Ordinariato Militare per l’Italia.
Santa Messa officiata da un cappellano
militare sul fronte greco-albanese nel 1941.
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Con
il Concordato fra Stato e Chiesa del 1929 viene ulteriormente valorizzata
e disciplinata l’assistenza religiosa alle Forze Armate. Con la Campagna
in Africa Orientale del 1936 sono mobilitati 343 cappellani militari
e fra questi sono decorati al valore militare; 2 con medaglia d’oro,
3 con medaglia d’argento, 8 con medaglia di bronzo e 17 con croce
di guerra.
Dal
10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia, gli oltre tremila
cappellani militari mobilitati diventano nei difficili frangenti sui
vari fronti ed in prigionia, un indispensabile punto di riferimento
e di conforto spirituale per i soldati ed i loro famigliari. Anche
nelle tristi vicende vissute a seguito dell’armistizio dell’8 settembre
1943, che divide in ideali contrapposti, sia nell’una che nell’altra
parte non manca la figura del cappellano militare, in gran parte precettati
dall’Ordinariato Militare ma anche accorsi per scelta volontaria.
Fra il 1940 ed il 1945 sono 185 i cappellani militari caduti. Alto
è anche il numero delle ricompense al valore militare, 10 medaglie
d’oro, 64 medaglie d’argento, 128 medaglie di bronzo e 215 croci di
guerra.
Oggi
come ieri - Santa Messa officiata da un cappellamno militare
al termine di una esercitazione in alta montagna.
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Con
il ritorno alla pace e la graduale rinascita dell’Esercito vede l’Ordinariato
Militare impegnato a mantenere la presenza del cappellano militare
nei vari Reparti, non tanto in vista di un sempre più improbabile
conflitto ma come componente tesa alla formazione del giovane e punto
di riferimento in un particolare momento della sua vita.
Ancora
oggi, sia nella normale vita addestrativa che nelle varie e rischiose
missioni all’estero, il cappellano militare segue il proprio reparto
perché è insito nell’uomo l’esigenza religiosa e consciamente o inconsciamente,
comunque la sua presenza rassicura ed apporta un essenziale contributo
sia per la serenità morale dei soldati sia nei rapporti con le popolazioni
locali.
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