rassegna
stampa da Canta..che
ti passa
periodico
della Sezione ANA Bolognese Romagnola
Il mondo cattolico e le armi
intervista
di Giuseppe Martelli ad Angelo Visani
Articolo pubblicato sul giornale
CANTA... CHE TI PASSA n°1 - febbraio 1989
Angelo Visani, artigiano imprenditore con un dinamico
stugdio grafico (1), è Presidente Diocesano
di Azione Cattolica di Imola (2). Un cattolico
convinto quindi, una scelta di vita che lo definisce per idee,
convinzioni, impegno, un "buon soldato di Dio". In contrasto
con molti altri "convinti", Angelo Visani per propria
scelta, ha regolarmente e senza drammi scelto di svolgere il proprio
servizio militare alla Patria. Sergente degli alpini alla Scuola
Militare di Aosta, ripercorre assieme a noi quei momenti, cosa
hanno significato per lui e gli aspetti morali della sua scelta.
Sono
nato a Tossignano, piccolo paese nella valle del fiume Santerno
il 28 febbraio 1940, sono il secondo di quattro fratelli, due
maschi e due femmine. Il babbo faceva allora il bracciante agricolo
e la mamma era casalinga. Tossignano, per la sua collocazione,
domina la vallata che da Imola porta in Toscana e fu un importante
osservatorio tedesco a ridosso della linea gotica, durante la
seconda guerra. Anche se piccolo, ricordo i disagi e il ritorno
alla nostra casa distrutta, con la pace. La faticosa ricostruzione
ed il babbo, bersagliere, esperto di mine, che andava a dare una
mano a sminare i campi, per dar modo alla vita di riprendere,
pur lentamente, ma di riprendere. A Tossignano quindi ho vissuto
fino al 1952, dico questo perchè in quell'anno morì
mia madre, ed io, per ragioni ben comprensibili finii in collegio
con mio grande disappunto, però ricordo quel periodo come
quello della mia maturità. Ero diventato di colpo grande,
mi resi conto che l'assenza di mia madre cambiava anche la mia
vita. Del collegio dei Salesiani di Bologna, ove rimasi dino al
1958, ho un ricordo bellissimo. Trovai una nuova famiglia, anche
se estranea alla mia perchè eravamo tantissimi ragazzi,
guidati da sacerdoti amorevoli, pazienti e disponibili che mi
hanno fra l'altro introdotto a quella che è la mia attuale
professione e attività.(1)
Il cammino verso la fede.
Le figure di quella età sono mia madre e mio nonno. Il
nonno in particolare è rimasto colui che mi ha introdotto
alla fede ancora più di mia madre, perchè fin che
è stato presente; ero il classico ragazzo che non capisce
e non si impegna più di tanto nelle cose, anche se frequentavo
la parrocchia ed ero iscritto all'Azione Cattolica. Anche mia
madre era iscritta e quindi diveniva un discorso tradizionale,
però con il 1952 e la sua scomparsa, questo si interrompe,
vengo catapultato in una realtà nuova, entro in contatto
con i Salesiani e la formazione di Don Bosco; l'impegno sociale
e l'impegno religioso devono andare avanti di pari passo. Il nonno
era uno di quei cattolici tutto di un pezzo che però rispettava
gli uni e gli altri. Ricordo durante la guerra, era presidente
del comitato di liberazione e la sua casa divenuta anche la nostra
essendo in campagna, veniva frequentata e si incontravano partigiani
e tedeschi, cioè un luogo di incontro delle persone al
di là della divisa e nessuno dubitava della sua moralità
e giustizia. Alla mia domanda interiore, cosa significa essere
un buon cattolico, egli rispondeva con il suo esempio, con il
suo senso sereno della fede, cioè la fede in Dio che è
Padre e Creatore.
Angelo
Visani, al centro, con don Angelo e
Mons. Riboldi, a destra, durante i Campi scuola
dell'Azione Cattolica a Oltre il Colle, Bergamo.
|
Con la sua grande spiritualità e religiosità semplice,
però molto genuina, senza tanti discorsi ma fatta concreta
nella società e nel rapporto con Dio. Ricordo che quando
arrivava la primavera i contadini avevano la bella tradizione
di mettere l'ulivo benedetto in campagna. Mio nonno faceva una
croce con le canne, vi metteva l'ulivo e ponendo il tutto ben
in vista mi diceva serenamente in dialetto - Vedi Angelo se non
ci pensa il Signore è poi inutile che io lavori - questo
era il suo senso religioso della vita. L'impatto con i Salesiani
mi fece capire che quelle di mia madre e di mio nonno erano cose
vere e che valeva la pena di viverle. Finito il collegio nel 1958
rimasi a Bologna come istruttore nella scuola per la parte pratica,
era il mio primo lavoro vero e proprio, abitavo infatti presso
una zia e nel tempo libero cominciai a frequentare una parrocchia
dove era presente l'Azione Cattolica, mi impegnai con i ragazzi,
i giovani, i lavoratori e di questi ultimi divenni responsabile
diocesano.Erano
gli anni del Cardinale Lercaro, di Dossetti, Ardigò, personaggi
con una cultura, una fede, una disponibilità eccezionali
e quindi ho avuto anche la fortuna di vivere quel determinato
momento, che oggi riconosco mi ha notevolmente aiutato. Forse
qualcuno si chiederà che cos'è l'Azione Cattolica.
E' una associazione di laici e non di "religiosi" che
nasce 120 anni fa da un bolognese, Giovanni Aquaderni con tre
punti fondamentali: Preghiera, formare le persone a vivere
la preghiera, Azione, essere cristiani impegnati nella
parrocchia e nella vita, Sacrificio, mettersi a disposizione
del prossimo senza chiedere niente. In questi 120 anni l'Azione
Cattolica è sempre rimasta fedele a questa impostazione.
Ritornando al discorso della mia vita, dal 1958 finito il collegio
al 1961, rimasi a Bologna come istruttore alla scuola tipografica
dei salesiani, poi venne anche per me il servizio militare al
termine del quale nel 1963 ripresi il mio lavoro. L'età
e i molti anni di lontananza rafforzarono il mio desiderio di
rivivere la famiglia, la mia famiglia, il mio paese e nel 1964
cercai e trovai lavoro ad Imola. Riprendevo così il mio
posto lasciato forzatamente tanti anni prima. A Tossignano ritrovavo
gli affetti, gli amici, la mia vecchia parrocchia e scoprivo una
cosa nuova per me, la politica. Nella mia pur breve esperienza
nel Consiglio Comunale provai e cercai di dare la mia testimonianza
cristiana. Ricordo un episodio molto caro; era appena uscita l'enciclica
"Pacem in Terris" di Giovanni XXIII°, grande Papa
e grande enciclica, chiesi ed ottenni, di fare un breve commento
durante un consiglio comunale. Lo feci ed alla fine ebbi i riconoscimenti
di tutti i gruppi politici. Questo mi fece piacere e capire che
era possibile con le parole giuste instaurare un dialogo con tutti,
di quanta verità ci fosse in quel documento. Finita la
mia esperienza politica, anche perchè nel frattempo mi
ero sposato e trasferito ad Imola nel 1965, legai gradatamente
al mondo dell'Azione Cattolica diocesana fino a diventare o assumere,
anche per
la mia disponibilità ed uno disponibile è sempre
accetto, l'incarico di Presidente Diocesano che ancora oggi svolgo.
(2)
La mia scelta...Alpino!
L'amore per la montagna, quello vero, nasce in me durante il periodo
salesiano quando mi portarono per la prima volta e per un breve
soggiorno a San Pietro di Cadore. Il prete che ci accompagnava
mi trasmise il suo entusiasmo per un fiore, un sasso, un uccello,
un sentiero, era un mondo nuovo che scoprivo, mi impressionava
e mi entusiasmava. La vita semplice della gente, la loro disponibilità,
la natura, i silenzi, quell'atmosfera che si respirava non solo
fisica ma interiore. Mi ero innamorato e lo sono tutt'ora. Quando
giunse anche per me la chiamata per la visita di leva l'unico
problema che mi posi fu quello di assicurarmi se era possibile,
secondo il mio concetto, di utilizzare quel periodo in maniera
seria ed utile. Io credo che tutte le cose vadano fatte seriamente,
quindi mi dissi - perchè fare il servizio semplice, se
è possibile faccio un corso anche professionale - mi informai
ed inoltrai domanda per il corso allievi sottufficiali. Andai
a Pesaro per la visita, allora dipendavamo da quel Distretto Militare,
e devo dire mi impegnai seriamente nell'affrontare i vari test
ai quali venivamo sottoposti, sempre per quel mio personale concetto
della vita ed anche consapevole che da quei risultati dipendeva
il buon esito della mia domanda. In particolare ricordo la faccia
dell'ufficiale medico che alla rituale domanda, dove volevo andare,
risposi fermamente - Alpini - un po' sorpreso mi guardò
e si mise a ridere, - perchè - riprese, ed io molto candidamente
risposi - perchè mi piaccioni le montagne - mi sembrava
una cosa così ovvia. Prese allora un bel timbro, continuando
nel suo sorriso, e stampigliò nella cartella, "reclutamento
alpino". Il 2 novembre 1961, commemorazione dei defunti,
ero al cimitero con mio padre, sulla via del ritorno mi venne
incontro il postino, alpino anche lui, sventolando la cartolina
rosa di chiamata e su questa, la sigla S.M.A. Aosta (Scuola Militare
Alpina). Partii pochi giorni dopo.
Campo estivo a La Tuille. Angelo Visani, a sinistra,
nella classica foto ricordo con il mortaio ed il
"nonno" sergente Bertelli. |
Giunsi
ad Aosta la sera e alla stazione eravamo stranamente, subito riconosciuti.
Per 18 mesi quella sarebbe stata la mia nuova famiglia. Il giorno
dopo era domenica e ci lasciarono uscire. La mia prima preoccupazione
fu la ricerca di una chiesa dove poter assistere alla Messa, vidi
un vigile e questo incontro fu la mia prima sorpresa di Aosta,
non tanto perche vedevo un vigile ma per la sua risposta che ricevetti
alla mia domanda. Con precisione mi indicò chiese, orari
e percorsi, io non sarei stato altrettanto preparato su Imola.
Andai a Messa in Cattedrale. Iniziava così la mia vita
militare. Questo periodo non mi è pesato più di
tanto, in quanto, ho avuto la fortuna di avere alle mie spalle
5 anni di collegio e 4 fuori dalla famiglia, per cui sotto l'aspetto
umano, psicologico della lontananza, nessun trauma. Le cose che
cercai di fare e capire nella naja erano le persone, i compagni
coi quali dividevo quella vita, come vivevano, come pensavano,
aiutandoli nei loro problemi con il dialogo, cercando di essere
coerente con le mie idee in ogni momento. Questo è stato
il mio comportamento come cattolico. In quel periodo si andava
a Messa tutti inquadrati, era un servizio comandato, e ben pochi
chiedevano di essere esentati, quel "comandato" per
me era superfluo, assistendola e vivendola in un certo modo, facendo
settimanalmente la comunione anche se questa dava occasione a
qualcuno per una minima presa in giro. Io cercavo di vivere le
mie cose con estrema responsabilità ed applicazione, anche
per le materie espressamente militari, che la mia libera scelta
e quindi la mia presenza, imponevano alla coscienza. Lo studio
delle armi, topografia, addestramento formale, ecc., il che lasciava
negli altri una certa impressione e questo faceva si che, pur
non essendo molto espansivo o alla ricerca forzata di amicizie,
fossero gli altri ad avvicinarsi. Il mio compagno di branda, quando
era ubriaco fradicio la sera, sfogava i suoi problemi personali
ed io cercavo di consolarlo e farlo ragionare. Nonostante la sbronza
erano i momenti in cui ragionava meglio, infatti, di giorno quando
era normale, faceva tutto il contrario creandomi a volte qualche
piccolo problema come l'ispezione branda, indicando sempre come
mia, la sua in disordine. Piccola e imbarazzante bugia, ovviamente
subito scoperta. A modo suo comunque apprezzava la mia coerenza,
lo scoprii un giorno di marcia sopra ad Aosta. Arrivammo vicini
ad una chiesa e il mio primo impulso fu quello di entrare mentre
tutti toglievano dalle spalle zaino e fucile. Due allievi di un'altra
Compagnia che erano assieme a noi in esercitazione, cominciarono
a deridermi, io non dissi niente, non dovevo certamente giustificare
a loro il mio comportamento, ma furono i miei compagni a difendermi,
l'amico ubriacone ed altri, che non andavano a Messa, ma che ovviamente
rispettavano la mia coerenza.
Cerimonia di giuramento del sergente Angelo Visani. |
Un'altro
segno esteriore di rispetto lo ebbi la sera dei saluti di fine
corso. Lo scherzo che si usava era di dare il lucido al sedere,
un modo molto innocente per "punire" i capi squadra,
i secchioni, i primi del corso, che insomma per una ragione o
un'altra erano emersi dalla massa. Era ovviamente una sceneggiata
fra chi fingeva di tenerti saldamente fermo e la povera vittima
divincolante ma molto arrendevole, solo il lucido e la spazzola
erano vere come la lucidatura. Quando arrivarono nella nostra
camera, ovviamente il grido "lucido!" arrivò
anche per me. A quel punto ci fu un attimo di silenzio ed esitazione,
il mio compagno di branda ed altri si frapposero - questo no,
a Visani no! - e fui salvo. Era il loro modo per riconoscere e
rispettare le mie idee, il mio impegno, che non derivava da un
fattore umano di emergere sugli altri, ma dalle mie convinzioni
morali, e queste meritavano rispetto. Anche il "comando"
che il mio grado militare mi permetteva, l'ho vissuto in un certo
modo. C'erano con noi alla Scuola, anche gli allievi ufficiali,
che, per i primi tempi di grado inferiore, poi ovviamente diventavano
superiori. Il Colonnello comandante aveva diramato una circolare,
e quindi era un ordine, dove invitava gli allievi che frequentavano
il circolo interno o locali esterni ad avere maggior rispetto
per il cappello e che questo non andava assolutamente appoggiato
sul banco, prevedendo le solite punizioni per chi sorpreso in
trasgressione. Come caporalmaggiore, una sera vedo un allievo
ufficiale che entra ed appoggia il cappello sul banco, gli vado
vicino e con tono molto pacato gli dico - scusa sai è meglio
che il cappello lo togli, capisco che l'hai fatto distrattamente,
ma non facciamo arrabbiare il Colonnello -. Questi si mise sull'attenti,
presentandosi come da regolamento, scusandosi con il tono di chi,
colto sul fatto, teme le conseguenze. Lo tranquillizzai e la cosa
finì lì. Dopo qualche mese arrivò un nuovo
Sottotenente in Compagnia, mi chiamò ed io mi presentai
rispettando le formalità, lui con un largo sorriso mi disse
- Stai pur comodo Visani, non ti ricordi di me? - facendomi rivivere
quel nostro incontro e ricordandosi di uno che aveva "comandato"
in un certo modo. Questo mi fece molto piacere.
Non di solo naja...
Certo la scuola assorbiva molto impegno, ma anche le ore di libera
uscita le ho sempre utilizzate per "fare qualcosa".
Mi ero legato ad una parrocchia e la domenica andavo con i ragazzi
su per i monti. Avevano una baita sotto l'Emilus, era una bella
scarpinata ma la facevo volentieri. Se la stagione non lo permetteva
si rimaneva nel cortile della parrocchia a giocare o a svolgere
altre attività. Cercai quindi di rimanere legato al mio
impegno cattolico anche "fuori servizio", incontrando
e stringendo profonda amicizia con delle persone molto care. Il
primo, un signore anziano e simpaticissimo, che aveva aperto il
Circolo di Azione Cattolica per gli alpini fin dal 1940.
Angelo Visani con la moglie, che tiene in braccio la
figlia, ritratto con l'indimenticato amico Imperial e al
centro il Vescovo di Aosta, entrambi di passaggio
ad Imola. |
Un
ritrovo molto importante per molti giovani ed una disponibilità
apprezzata da tanti che nel corso degli anni si erano avvicendati
alla Scuola. Il sig. Imperial, così si chiama, col quale
ancora oggi sono in rapporto. Il secondo, una bellissima figura
di valdostano, era don Luigi Maquignaz, guida del Cervino, amato
e stimato dagli alpini, prete di poche chiacchiere, ma di una
disponibilità e serenità veramente montanara. Come
dicevo, il mio amore per la montagna nasce quando ero nei salesiani
e senz'altro l'esperienza di Aosta l'ha accresciuta. Mi ricordo
la prima mattina quando aprii la finestra, eravamo a novembre
e sopra quota duemila vi era già la prima spruzzata di
neve. La maestosità di quelle cime, quel panorama, fu un'immagine
bellissima per gli occhi e per il cuore. Poi, rimanendo alla Scuola,
ho vissuto le stagioni, il susseguirsi del clima, dei colori,
della vita, un'esperienza irripetibile. Molti ne hanno solo una
visione estiva o invernale, la frequentano ma non la vivono, mentre
la montagna sa offrire moltissimo se camminata a piedi, nei sentieri,
nel silenzio, scoprendo passo dopo passo sempre qualcosa di nuovo.
Quando, finito la naja, sono salito sul treno, alla gioia di ritornare
fra i miei cari, la mia gente, la mia terra, si mescolava già
un po' di nostalgia per quella montagna e per come l'avevo vissuta.
In un attimo mi passarono davanti tutti quei mesi, la vita di
caserma, come avevo provato di viverla, volti e considerazioni.
Avevo cercato di viverla smussando quelle angolature un po' banali
della naja, vivendola in maniera seria ed autentica, scoprendo
che la vità dell'alpino è bella. Le marce, le esercitazioni,
gli studi, erano chiaramente improntati per una difesa, anche
se dicevo a me stesso che poi di militaresco avevano un po' poco
e mi chiedevo, se fossimo stati veramente impegnati in una presunta
guerra, al fin fine non saremmo poi mica stati tanto preparati.
Non avevo avuto quella impressione di "odio" di "nemico",
di esaltazione militare o di situazione di conflitto alle quali
prepararsi ad affrontare. Erano invece esaltati il concetto e
la vita stessa dell'alpino. Innanzitutto la montagna, che educa
al sacrificio, alla solidarietà, all'amicizia, alla condivisione.
La natura, con la quale devi sempre fare i conti. I Comandanti,
devono essere impegnati a valorizzare e a farti scoprire questi
cocetti. Comandanti non solo militari, ma che amano e vivono la
montagna, riuscendo a trasferire ai giovani l'entusiasmo, ma anche
il giusto metodo. L'alpino è quello che non fa chiasso.
Come affronta la montagna così affronta la vita, con calma,
razionalità e serietà. Questo è un desiderio
ed un auspicio. Sono passati gli anni, ma certi valori sono rimasti
immutati, ciò sta a significare che la montagna è
veramente scuola di vita, dove l'amicizia, il cantare assieme,
la solidarietà, nascono spontaneamente come prendere lo
zaino del tuo compagno che non riesce più a camminare,
così nella vita ti viene spontaneo aiutare gli altri, essere
disponibile. Questo itinerario educativo, oserei dire, naturale,
fa sì che gli alpini, una volta in congedo, realizzino
tante opere. Ogni anni quando ritorno in ferie ad Oltre il Colle
nel bergamasco, dove vi è una casa-albergo di Azione Cattolica,
gli alpini di quel gruppo hanno sempre realizzato qualcosa di
nuovo, di pubblica utilità, ma la loro sede è sempre
quella, direi, quasi una baracca e mi chiedo come è possibile
che un gruppo così vitale non riesca a fare qualcosa anche
per se stesso. La risposta è sempre uguale; gli altri sono
importanti, "naturalmente" importanti, in fondo la sede
a chi serve, è una mia conclusione, ma direi realtà,
altrimenti quella quasi-baracca non esisterebbe più. Il
concetto alpino ad Oltre il Colle è pienamente vissuto.
O cattolico, o soldato!
Papa Giovanni XXIII° era un soldato, don Gnocchi era un soldato
e quanti altri esempi potrei portare, anche se questo è
un aspetto un po' diverso. E' l'esperienza di un prete in una
comunità. Questa scelta e presenza religiosa è sempre
utile se sa cogliere le fatiche dell'uomo e dargli un senso, sa
orientarle verso Dio. Non vedo differenza fra un prete che vive
in parrocchia o un reparto militare, se vive la sua vocazione
sotto questa ottica. La presenza dei cappellani militari è
una cosa positiva se vissuta come missione spirituale, un modo
per aiutare i giovani, con i loro problemi, non preparati ad una
vita di sacrificio, anche se spesso ingigantiti, aiutandoli a
trovare o ritrovare il senso morale della vita, in quella particolare
esperienza.
Le nevi della "Vallèe". Il sergente Angelo
Visani,
a destra,
durante una pausa di una marcia a Pila. |
Il
rapporto religioso e le armi, l'ho vissuto in maniera molto serena
forse anche perchè alla Scuola di Aosta, negli anni in
cui ho svolto la mia naja, non è mai stata fatta una pressione
psicologica e mentale alla guerra contro qualcuno, di offesa,
di conquista, ma solo teoria di difesa ed eventualmente come prepararsi
a questa. Forse diciamo così, lo spirito degli alpini e
lo spirito della montagna, che sono molto legati, non vivono queste
cose contro qualcuno, ma se poi qualcuno l'avrà con noi,
bè allora vedremo, ci difenderemo, è un discorso
basato sul poi. Se sei un buon cattolico non fai il servizio militare,
se fai il servizio militare non sei un buon cattolico. Secondo
me non è questo il termine di paragone, anche perchè,
in ogni società occorrono delle strutture che garantiscono
dei limiti, che aiutino a rispettare la libertà, non basta
dire adesso noi siamo in pace, viviamo in pace, bisogna vedere
se gli altri vogliono vivere in pace con noi. Quindi i principi
di una difesa sono da prevedere, non si piò essere ingenui,
se questo però gira di pari passo con una cultura di pace,
il discorso sta bene, non una questione numerica quindi, ma di
chiara volontà pacifica. E' chiaro che io, Stato, posso
avere un piccolo esercito ma anche una mentalità guerrafondaia
col desiderio di attaccar briga con tutti. Prendiamo ad esempio
i paesi dell'America Latina, non hanno mai fatto la guerra in
giro per il mondo, ma sicuramente sono dei psaesi antidemocratici.
Noi purtroppo di guerre ne abbiamo fatte, ma credo anche che siamo
un paese democratico. Si tratta di vedere in che modo vogliamo
impostare il nostro rapporto con le forze armate, se è
un'impostazione di pace, di eventuale difesa, quale ultimo mezzo
dopo aver seriamente provato ogni ragionamento, come cattolico
dico, mi sta bene. Guardiamo anche il nostro esercito quando è
stato chiamato in missione di pace, è sempre uscito a testa
alta, con elogi e riconoscimenti delle due parti che si contendevano,
per non parlare del suo indispensabile impiego utilizzato in occasione
di calamità naturali. Vorrei sottolineare anche che proprio
a dei soldati è stato assegnato il premio Nobel per la
pace 1988, ai Caschi Blu dell'Onu.
note:
Dell'intervista ho tralasciato l'ultima parte con le personali
considerazioni sull'obiezione di coscienza, in
quando con il nuovo ordinamento dell'Esercito, non esiste più
il "problema".
(1) Nell'anno dell'intervista, oggi è
pensionato.
(2) Si intende nel 1989, anno dell'intervista,
oggi è "in pensione".
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