Rileggendo e catalogando gli oltre 5.000 ruoli matricolari ritrovati nelle continue ricerche dedicate al nostro territorio, pur conoscendone già l'eroica intensa vita del Capitano alpino Mario Jacchia, fondatore della sezioone nel 1922, poi per scelta intraprende la via di combattente nella lotta partigiana fino al sacrificio della vita e, pur essendo già ricordato in altra parte del sito fra le nostre Medaglie d'Oro e fra i "padri fondatori", ne desidero onorare e rinnovare il ricordo “per non dimenticare” anche fra gli alpini e artiglieri da montagna CADUTI su fronti opposti.
Mario
Jacchia nasce a Bologna il 2 gennaio 1896 da genitori di origine triestina,
espulsi anni prima dal governo austriaco per la loro attività irredentista.
il ruolo matricolare rintracciato
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Con l’entrata in guerra dell’Italia nel maggio 1915, lascia gli studi
universitari nella facoltà di Giurisprudenza per arruolarsi volontario.
Per il suo titolo di studio viene inviato al corso ufficiali presso
la Scuola Militare di Modena ed al termine del corso con la nomina
di aspirante ufficiale viene assegnato su sua domanda al 6° Reggimento
Alpini battaglione “Monte Berico”. Gia nel giugno 1916 gli vengono
conferite una croce di guerra ed una medaglia d’argento al valore
militare. Promosso Tenente nell’aprile 1917, merita in agosto la medaglia
di bronzo ed in ottobre un’altra medaglia d’argento. Sul finire dell’anno
rimane ferito in una azione in Val Grande e, dopo alcuni mesi di ospedale,
rientra in servizio come aiutante maggiore del battaglione fino alla
conclusione della guerra.
Rientrato a Bologna conclude gli studi e
diviene ben presto un affermato avvocato.
Nell’estate
1921 è fra i promotori del comitato per la costituzione a Bologna
di una sezione dell’Ass. Naz. Alpini. Ovviamente presente la sera del 18
novembre 1922 all’assemblea costitutiva, è lui a redigere il verbale
e viene eletto consigliere effettivo. La sua presenza nel consiglio
si conclude quando, lui amante della libertà per la quale a 18 anni
era partito volontario, non si riconosce con la nuova ideologia imposta
dal Regime. Pur mantenendo i contatti con i vecchi amici, la partecipazione
attiva alla vita associativa si dirada. Promosso Capitano nel 1930,
alcuni anni dopo per le sopravvenute leggi razziali gli è negato il
richiamo per l’avanzamento di grado, il divieto di rivestire l’uniforme
ed esonerato dal servizio militare, in quanto ritenuto erroneamente
di razza ebrea, poi riabilitato.
Sempre più vicino ai movimenti antifascisti,
con l’armistizio dell’8 settembre 1943 entra nel Comitato di Liberazione
Nazionale. Con il nome di battaglia “Rossini” è ispettore, quindi
comandante delle formazioni militari del Nord Emilia. Il 2 agosto
1944 mentre a Parma presiede una riunione, al sopraggiungere della
polizia riesce a far fuggire i suoi collaboratori, ma attardandosi
per distruggere il materiale compromettente, viene catturato. Consegnato
ai tedeschi subisce lunghi giorni di torture e sevizie affrontate
con fierezza e coraggio fino a quando dal 20 agosto non si hanno più
sue notizie. Alla memoria viene decretata la medaglia d’oro al valore
militare. A Lui sono intitolate la Piazza all’interno dei Giardini
Margherita in Bologna ed una via alla Croce di Casalecchio. Sono inoltre
dedicate delle lapidi nella casa natale, alla Corte d’Appello del
Tribunale e nella chiesa di Santo Stefano.
Con Decreto del 16 marzo 1947 gli viene conferita la Medaglia d'Oro al valor miilitare "alla memoria" con questa motivazione:
“Nobile
figura di partigiano, fedele all’idea che fu il credo della sua vita,
fu tra i primi ad organizzare i nuclei di resistenza contro l’oppressore
nazifascista. Perseguitato per ragioni razziali, ricercato per la
sua attività cospirativa ed organizzativa, non desistette dall’opera
intrapresa con tanto ardore. Nominato ispettore militare dell’Emilia
e successivamente comandante delle forze partigiane del Nord Emilia
divenne in breve l’animatore del movimento clandestino della regione
e, senza mai risparmiarsi, sempre rifulse per la forte personalità
e per l’indomito coraggio dimostrato durante le frequenti missioni
ed i sopraluoghi rischiosi effettuati per meglio assolvere il suo
compito. Sorpreso dalla polizia mentre presiedeva una riunione del
suo comando, veniva arrestato nel tentativo di distruggere tutto il
materiale compromettente, compito che aveva assunto per sé, dopo aver
ordinato ai suoi collaboratori di mettersi in salvo. Sottoposto a
stringenti interrogatori si confessò unico responsabile e non pronunciò
parola che potesse compromettere l’organizzazione. Dopo aver sopportato
lunghi giorni di detenzione e di martirio fu prelevato dal carcere
e soppresso. Fulgido esempio di apostolo della libertà e di eroico
sacrificio.” Emilia
8 settembre 1943, 20 agosto 1944.
Nel
1961 per iniziativa della figlia Adriana, anche lei pur giovanissima
impegnata nella lotta partigiana, alla quale il babbo ha trasmesso
la grande passione per la montagna, nasce l’idea del Rifugio Bivacco.
Acquistato tutto l’occorrente ed individuata la località su l’Aeguille
de l’Aveque, nel Gruppo Gran Jorasse in Val d’Aosta, tutta la famiglia
nel mese di agosto si trasferisce lassù. Presi contatti con la Scuola
Militare Alpina di Aosta, il comandante offre piena collaborazione
mettendo a disposizione gli alpini necessari per il trasporto del
materiale alla quota di 3.264 metri e lasciando alcuni uomini lassù
per diversi giorni con il compito di aiutare nell’opera di montaggio
della struttura. La suggestiva “cerimonia” di inaugurazione avviene
il 20 agosto. Sull’esterno del bivacco vengono fissati sul ghiaccio
gli emblemi propri degli Alpini; una piccozza ed i ramponi. Con loro
un libro che raccoglie a ricordo le firme dei presenti ed una targa
dove è inciso : “in
memoria di Mario Jacchia, uomo libero, morto per la libertà”