rassegna stampa da L’ALPINO
periodico dell’Associazione Nazionale Alpini
Breve storia di una (ahimè) breve licenza
di Noël Quintavalle *
pubblicato 1° ottobre 2010
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO
Colonnello
Cornaro, dopo il primo anno di guerra v’ho perso di vista. Non so
dove siate ora, né so in qual regione il bel sole italiano accarezzi
il vostro poderoso petto su cui sfila in parata un plotone di nastrini
azzurri. Ma dovunque voi siate, permettete ad un vostro subalterno,
che vi ama come un figlio, di stendervi la mano, ed attendere fidente
una buona stretta alpina come sapete fare voi: di quelle strette
che fanno crocchiare le ossa ma rinsaldano i cuori.
E’
di voi che oggi voglio parlare o meglio di voi e di me, poiché il
fatto che racconto, e che forse è sfuggito alla vostra mente, ci
ha legati più di quanto possiate immaginare. Occorre un antefatto.
Sarò breve: dopo un anno circa di continua guerra in prima linea
fui mandato, in premio, mi dissero, a dirigere un corso allievi
caporali qualche chilometro addietro, dove si sentiva il rumore
delle pentole ma non ne giungeva il sapore. Feci del mio meglio.
Poi stetti quindici giorni, dopo i quali i miei allievi erano ignoranti
come talpe, lo confesso onestamente, in fatto di regolamento o di
ordine chiuso, ma grazie al cielo ed un pochino anche a me, erano
perfettamente persuasi di questo: che val meglio un buco nel petto
con un nastrino azzurro come cucitura, che una buona pipata imboscati
accanto al camino del proprio paese. Quand’ebbi spesi i miei quindici
giorni ad insegnare cosiffatto vangelo, m’arrivò l’ordine di tornare
in trincea, s’era a Monte Rosso, con i miei neo caporali. La strada
da farsi, ordine del Colonnello Cornaro comandante la zona, erano
i sentieri tali e tali. L’ora di giungere la tale. Benone. Parto
con i neo caporali. Ma a Drezenka, mentre giungo su di una colletta,
ecco sbucare contemporaneamente dall’altra, con un altro plotone
di neo caporali alle spalle, il tenente Dall’Armi. Ci si voleva
bene come fratelli. Dimenticando la nostra dignità di istruttori
ci si butta nelle braccia uno dell’altro e ci si stampa due bacioni
sulla barba intonsa. – Dove vai? – A Montenero. E tu? – A Monte
Rosso. – Cribbio! Ma siamo a due passi! Facciamo la strada assieme?
– Volentie…Momento. Hai un papier del Colonnello Cornaro?
– Si. – La tua strada? – Sentieri A B C. – Acci… A me ha marcati
quelli D E F. -
Ci
si gratta lungamente la testa, io e Dall’Armi, e poi il naso e finalmente
il barbuto mento. La tentazione è grave, ma è più grave ancora farla
in barba a Cornaro. Dall’Armi è più giovane e la sua disciplina
risente dell’età. – Senti, facciamo il male a metà. Dei sentieri
noi ce ne possiamo infischiare; sono quasi paralleli, noi ci montiamo
nel centro… Che te ne pare? – Mi pare, tesoro, che dimentichi bellamente
il carattere del Colonnello Cornaro! – Non esagerare, va! Chi ti
dice che lui lo venga a sapere? Noi dobbiamo esserci all’ora tale,
in trincea, e ci saremo. Ma mica sarà la provvidenza divina, il
colonnello, da vedere anche attraverso i monti! -
Altra
grattatina alla pera, al naso, all’intonso mento. Ci si guarda negli
occhi…E’ un anno che non ci si vedeva…Deciso! Ed i due plotoni di
neo caporali fanno la marcia affiancati, pais sotto braccio
a pais, sul costone che sta precisamente a mezzo dei sentieri
ABC e DEF. E dinnanzi ai plotoni, pais con pais, se
ne vanno sottobraccio i tenenti Dall’Armi e Noëlqui. All’ora prescritta
si è a due passi dalle trincee. Altri due bacioni sulla barba e
ci si divide. Sono stanco della camminata e mi butto sulla mia cuccia.
Giusto il tempo di cominciare a russare: - Il Maggiore Magnaghi
chiama il tenente. – Benone. Il “tenente” si frega accuratamente
gli occhi per riuscire a non inciampare ad ogni passo e si presenta
al Maggiore Magnaghi, che, un risolino ironico sulla simpatica faccia
da monello, gli porge un “papier”. E’ una lavata di testa del Colonnello
Cornaro. Una di quelle lavate capaci di scotennare un bue. Dinnanzi
al Maggiore non dico nulla: saluto regolarmente e me ne torno in
cuccia. Ma tutta notte mi rompo il capo, fumando la pipa da incendiare
il fornello, a pensare come mai il colonnello poteva aver saputo…Io
ignoravo un fatto semplicissimo; nelle ore di ozio il colonnello
Cornaro, munito di un Zeiss capace di rivaleggiare con gli specchi
notorii di Archimede, si piazzava sulla punta più dominante della
sua zona; e così sapeva vita, morte e miracoli dei suoi “zonisti”,
da chi si soffiava il naso nelle dita a chi lo soffiava nelle pezze
da piedi non precisamente di bucato. E, con gli specchi notorii,
aveva, naturalmente visto i tenenti Dall’Armi e Noëlqui che, pais
con pais, salivano sottobraccio il costone giusto a mezzo
fra i sentieri ABC e DEF. Accidenti di cuore a chi inventò gli Zeiss.
Passano
due giorni. S’è nel tempo delle licenze invernali. Eccoci al sodo.
Io rumino moccoli e penso che, con la storia dello Zeiss, la mia
licenza arriverà quando sarà già arrivata quella famosa pallottola…Il
Maggiore Magnaghi mi chiama d’urgenza: la sua faccia da monello
ha una serietà compunta che gli arriccia persino il naso. Mi porge
un foglio: - Tenente, non si spaventi: una notizia poco buona. Ma
niente di grave! – Ho due fratelli in guerra come me; per quanto
in dodici mesi di trincea il mio cuore sia oramai peloso come il
mento, penso subito a loro, e vi confesso che, siano le mani o siano
gli occhi, qualcosa trema tanto da impedirmi di leggere. Il maggiore
se ne accorge e la sua faccia si distende in una risata, mentre
mi arriva una pacca bonaria tra capo e collo: - Com’è; chiel a l’a
non voeia d’andè a ca? (Come; non ha voglia d’andare a casa?). Non
corro: volo come se la penna invece d’averla “sul cappello che noi
portiamo” l’avessi ai piedi che mi portano. Giusto il tempo d’insaccare
nello zaino quanto ho sottomano, dimenticando il necessario; mi
pungo le labbra sulla barba degli amici e via, come un camoscio:
mi lascio scivolare dai canaloni, do del naso nei pali indicatori,
faccio capriole sulla neve fresca, rido a gioia spiegata d’ogni
inciampicone che dieci minuti prima m’avrebbe fatto bestemmiare
come un carrettiere. Vado a casa! Mi sento tornare bimbo di dieci
anni; ho voglia di bersagliare a palle di neve i muli delle corvees
che si profilano sui sentieri; urlo “ciao pais” a tutto quanto incontro…Sono
un bimbo che va a rivedere la sua mamma dopo un anno. Vado a casa,
vado a...
Un
muletto mi sbarra la strada. Sopra al muletto una mantellina; sopra
alla mantellina una barbetta grigia; sopra alla barbetta un cappello
con piuma bianca. Cornaro. Mi sento un brigidino nella schiena.
Macchinalmente passo le dita nella bottoniera a sentire s’è chiusa;
aggiusto lo zaino; ficco in testa il cappello che avevo passato
alla cintura per cantare più libero di testa…Sono tutto in ordine.
Ma il brigidino non passa. Saluto regolarmente da tre passi di distanza..-
Tenente – Altro saluto come sopra. Sono inchiodato dinnanzi a Cornaro.
– Lei è il tenente Noëlqui? – Signorsì – Lei, due giorni fa, ha
disobbedito al colonnello Cornaro. – Signorsì. – E adesso? – Comandi?
– Dove va adesso? – In licenza – e gliela mostro. – E’ per quello
che l’ho sentita cantare da tre chilometri di distanza? – Signorsì..-
Giurerei che la barbetta di Cornaro nasconda un risolino. Ma non
può essere che una allucinazione; è certo invece che i suoi occhi
fissano il mio petto. Per fortuna qui c’è qualcosa di azzurro. –
Bronzo? – Signornò. Argento. – Guadagnata dove? – Alla presa di
Monte Nero. – Il mantello sopra al muletto s’agita e ne esce una
mano. –Tenente; il signor Cornaro si congratula con la sua medaglia
( e mi da una stretta da slogarmi il polso) ma il colonnello Cornaro
le ordina dietro front, niente licenza; non si disobbedisce al colonnello
Cornaro.
La
mano mi lascia, il muletto vira di bordo ed il mantello di Cornaro
sparisce al trotto dietro ad un costone. Faccio il saluto regolamentare
al vuoto dalla parte dov’è scomparso; dietro front e avanti march.
Ci impiego dieci ore a rifare quello che facevo di solito in un’ora.
Non canto più, ma in compenso sfilo ad alta voce, in litania di
bestemmie, i nomi di tutti i santi che hanno la disgrazia di essere
a mia conoscenza e, scusate la mia sincerità rude, colonnello Cornaro,
credo che i tre quarti di quei santi avessero un nome che assomigliava
stranamente al vostro!
Dietro
di me risuona una specie di trotto. E’ l’attendente del Colonnello
Cornaro che mi sfila sorpassandomi e mi saluta con un risolino strano.
– Buongiorno, tenente. – Crepa – gli rispondo, soddisfatto di potermi
sfogare con un essere vivente. – E sciopa – gli urlo poi da lontano
come ciusa, pensando che forse porta al maggiore l’ordine di ritirare
la mia licenza. Il Maggiore m’aspetta sulla porta della baracca,
e la sua faccia è più monellesca che mai. Lo saluto con un grugnito
e sto per infilarmi alla mia cuccia, ma lui mi ferma col suo pugno
di ferro. – Tenente, le tremano ancora le mani? – Signornò; ma prudono.
– Saranno pidocchi. Gratti e legga. – Mi sventola sotto al naso
un foglio. Vi poso distrattamente gli occhi, persuaso di leggervi
il solito “cicchetto” ufficiale.
<D’ordine
del colonnello Cornaro il tenente Noelqui è inviato immediatamente
in licenza invernale…>
Tutto
qui. Colonnello Cornaro. Non so se tutti i cervelli ed i cuori siano
fatti come il mio. Non so quindi cosa penseranno gli altri di questa
mia storia che forse non li ha interessati e non hanno compresa
a fondo, trovandola scipita. Io so che prima v’ammiravo pel vostro
valore, dopo v’ho amato pel vostro carattere di diamante ed il vostro
cuore generoso. E qui mi sento fiero, adesso come allora, d’essere
alpino come voi.
Permettete
ad un vostro subalterno, che dopo tanti anni vi rivede come se foste
qui, di stendevi la mano ed attendere fidente un’altra di quelle
strette come sapete dare voi, che fanno crocchiare le ossa ma rinsaldano
il cuore.
NOELQUI
Pubblicato,
compreso i disegni dell’autore, sul giornale associativo dell’A.N.A.
L’ALPINO n° 24 del 31 dicembre 1926.
* Noël Quintavalle, in arte Noelqui, artista e scrittore
d’origine ferrarese, già ricordato nel sito ( apri
biografia )
|