rassegna stampa da L’ALPINO

periodico dell’Associazione Nazionale Alpini

Ricordi di carovaniere
CARLO MAZZOLI


pubblicato il 15 gennaio 2007
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO


il titolo dell'articolo pubblicato a pagina 2 del giornale
L'ALPINO n° 9 del 15 maggio 1929

Ho ricevuto, in questi giorni, una bellissima fotografia del povero Colonnello Carlo Mazzoli, dalla bella faccia evangelica. Mi è stata inviata da un caporale appartenente ad una squadriglia di automezzi armati che fu sul Gebel di Maraua e che il Comandante ebbe fra i più cari. Il giovane romagnolo aveva in consegna la sua vettura; una di quelle macchine rumorose e resistenti che imparammo a conoscere nelle retrovie del Fronte e che poi abbiamo ritrovate per le carovaniere.
Ah, la dolce poesia espressiva e commovente delle anime semplici. Sulla piccola fotografia del Grande Alpino di Cesena, il caporale Macori ha scritto: "a nome della famiglia a chi merita".
Ecco che io sono dinanzi alla immagine evangelica del bel cavaliere del sogno: sembra provenire dal delicatissimo pennello di Domenico Morelli dopo una contemplazione biblica; uscire da una tela di Leonardo da Vinci che meglio ispirato e più complesso degli altri riuscì a ritrarre la paradisiaca espressività del volto umano alla presenza della divinità. Nella ascetica fisionomia si rivedono la soave compostezza degli apostoli e la bontà diffusa degli evangelisti.
Tale fu il volto vivo del Colonnello degli Alpini Carlo Mazzoli.
In quel suo immenso spirito il getto del temperamento dava qualche volta lampi e ondate di dinamismo travolgente; nella febbre ardente dell'opera scendeva alle minuzie del bisogno, alle briciole della pietà, ai travagli oscuri e elementari: in questo suo tormento di rimpicciolirsi e di umiliarsi si riscontrava, con forme personalissime e oroginali, lo spirito di quelle epoche e l'amore di eroiche figure francescane. Quella sua grande anima, di fronte alla realtà eroica, dava scintille cicloniche e risonanze che a volte sembravano paradossali.
Innamoratissimo della famiglia umana, vedeva nella sua alta missione la lieta possibilità di beneficiare: gettava nobiltà e passione come un manto azzurro sulla inquietitudine dei semplici e dei modesti che lusingati dalla nuova valutazione umana gli rimanevano sempre devoti: conosceva il sorriso animatore della carezza paterna, il caldo fascino della parola affettuosa. Perciò per le carovaniere e per i piccoli presìdi, sperduti nelle lontananze africane, passò come un pastore evangelico. Noi lo conoscemmo con l'aureola dell'africanista entusiasta. Il Paese dai lunghi orizzonti e dall'ampio cielo dorato fu il rifugio preferito di questo granitico soldato delle alpi. Le distanze l'avevano cullato per breve tempo con mille attrattive; poi lasciò il suo lavoro e tornò in Italia: ma la passione coloniale ben presto lo riprese, violenta e irresistibile. Tornò, apparentemente più fresco e giovanile, animato da un nuovo entusiasmo creatore. L'uomo rincorre il suo destino e va nelle braccia delle vicende: e cercò la tomba per la sua strada. Non so se commuova di Lui più l'improvviso schianto o il travaglio indefinibile dell'uomo che ha lottato sempre per conquistare chissà quale riposo. Il sentimento di prodigarsi Gli proviene dalla famiglia alla quale appartiene e dalla scuola generosa della montagna. L'Africa gli mostra spesso la limpidezza di orizzonti puri e sconfinati che egli è abituato a vedere tra gli abissi incorniciati di azzurro e le fughe violacee, terribili dei giacciai: il senso dello smisurato, la purezza del cielo, la lusinga di solitudini vergini, il riposo dei silenzi profondi della montagna, tutto ritrova in Africa. La carovaniera non rassomiglia alla tortuosa mulattiera dell'Alpi? Ha nella sinuosa vena l'istessa attrattiva; proviene dal suo incedere lento e difficile, lo stesso ilare tormento: la carovaniera come la mulattiera non seleziona gli animi e non goggia il carattere alla volontà silenziosa e decisa, all'ardire calmo e tenace? L'Africa perciò diede il suo ultimo tocco alla complessa figura del Colonnello Carlo Mazzoli che lontano ebbe ebbe tutto il fasxino delle umane possibilità, e tutti gli impulsi del'ardimento. L'Africa aveva l'atmosfera capace per raccogliee gli ultimi possenti conati di Carlo Mazzoli perchè le linee del suo spirito provenivano dall'immenso. Era tornato con l'anima candida di Jauffrè Roudel e con la passione di un cavaliere crociato. Il senso eroico in lui ebbe nuove sfumature: l'audacia irresistibile ebbe nuovi bagliori.
Percorse con la sua francescana passione le strade e rifece con bontà evangelica tutte le carovaniere dell'Africa di Cirene. Ebbe la pazienza del pellegrino, il sorriso dell'asceta in cerca di solitudini pure, l'ansia vibrante dell'apostolo, attratto da miraggi lontani. Il suo destino intanti si compieva: nella ilare fatica del suo andare, la sua fibra si affievoliva; ma l'eroismo della volontà, forte come l'altro del cuore, non gli faceva avvertire le sorde mine che si nasxondevano nella sua combattuta esistenza. Non volle credere di essere malato; camminò febbricitante come un missionario di un ideale leggendario; contese passo passo la sua virile compostezza di soldato ai tarli del male che poi lo riprese più violento e più forte dopo un ciclo di operazioni che compì dormendo all'addiaccio coi suoi militi, rra il crepitare del bivacco, durante le lunghe notti ivernali.
Poi lo portarono via a forza dal suo lettino da campo: si fece mettere addosso la fotografia della mamma e un'altra immagine cara che aveva sempre con lui.
All'Ospedale visse pochi giorni: il delirio lo avvolse presto nelle sue sfere infocate: vedeva fantasmi di gesta eroiche uscite da atmosfere paradossali. Al Tenente Peis aveva spedito un telegramma strano che la sua fantasia turbata dalla febbre aveva dettato ad un milite fedele: "Montate tutte le mattine il mio cavallo - aveva telegrafato - ho buona speranza di potermene servire". Poi cominciò a sorridere. Sorrise una notte e un giorno, dinanzi alle fantasie fertilizzate dalla calda vena del delirio.
Quando cessò di sorridere venne la fine. La sua morte fu come la corsa di un astro verso un altro firmamento. quel suo lungo sorriso la scia dorata dell'ultimo passo verso l'eternità.
UMBERTO AJELLI
Barce (Cirenaica)


il disegno che chiude l'articolo dedicato a Carlo Mazzoli.



Pubblicato (comprese le foto e disegni) sul giornale associativo dell’A.N.A. L’ALPINO n° 9 - 15 maggio 1929.

Per ulteriori notizie sulla figura di Carlo Mazzoli, già ricordato nel sito, apri biografia.