Ho ricevuto, in questi giorni, una bellissima fotografia del povero
Colonnello Carlo Mazzoli, dalla bella faccia evangelica. Mi è
stata inviata da un caporale appartenente ad una squadriglia di
automezzi armati che fu sul Gebel di Maraua e che il Comandante
ebbe fra i più cari. Il giovane romagnolo aveva in consegna
la sua vettura; una di quelle macchine rumorose e resistenti che
imparammo a conoscere nelle retrovie del Fronte e che poi abbiamo
ritrovate per le carovaniere.
Ah, la dolce poesia espressiva e commovente delle anime semplici.
Sulla piccola fotografia del Grande Alpino di Cesena, il caporale
Macori ha scritto: "a nome della famiglia a chi merita".
Ecco che io sono dinanzi alla immagine evangelica del bel cavaliere
del sogno: sembra provenire dal delicatissimo pennello di Domenico
Morelli dopo una contemplazione biblica; uscire da una tela di
Leonardo da Vinci che meglio ispirato e più complesso degli
altri riuscì a ritrarre la paradisiaca espressività
del volto umano alla presenza della divinità. Nella ascetica
fisionomia si rivedono la soave compostezza degli apostoli e la
bontà diffusa degli evangelisti.
Tale fu il volto vivo del Colonnello degli Alpini Carlo Mazzoli.
In quel suo immenso spirito il getto del temperamento dava qualche
volta lampi e ondate di dinamismo travolgente; nella febbre ardente
dell'opera scendeva alle minuzie del bisogno, alle briciole della
pietà, ai travagli oscuri e elementari: in questo suo tormento
di rimpicciolirsi e di umiliarsi si riscontrava, con forme personalissime
e oroginali, lo spirito di quelle epoche e l'amore di eroiche
figure francescane. Quella sua grande anima, di fronte alla realtà
eroica, dava scintille cicloniche e risonanze che a volte sembravano
paradossali.
Innamoratissimo della famiglia umana, vedeva nella sua alta missione
la lieta possibilità di beneficiare: gettava nobiltà
e passione come un manto azzurro sulla inquietitudine dei semplici
e dei modesti che lusingati dalla nuova valutazione umana gli
rimanevano sempre devoti: conosceva il sorriso animatore della
carezza paterna, il caldo fascino della parola affettuosa. Perciò
per le carovaniere e per i piccoli presìdi, sperduti nelle
lontananze africane, passò come un pastore evangelico.
Noi lo conoscemmo con l'aureola dell'africanista entusiasta. Il
Paese dai lunghi orizzonti e dall'ampio cielo dorato fu il rifugio
preferito di questo granitico soldato delle alpi. Le distanze
l'avevano cullato per breve tempo con mille attrattive; poi lasciò
il suo lavoro e tornò in Italia: ma la passione coloniale
ben presto lo riprese, violenta e irresistibile. Tornò,
apparentemente più fresco e giovanile, animato da un nuovo
entusiasmo creatore. L'uomo rincorre il suo destino e va nelle
braccia delle vicende: e cercò la tomba per la sua strada.
Non so se commuova di Lui più l'improvviso schianto o il
travaglio indefinibile dell'uomo che ha lottato sempre per conquistare
chissà quale riposo. Il sentimento di prodigarsi Gli proviene
dalla famiglia alla quale appartiene e dalla scuola generosa della
montagna. L'Africa gli mostra spesso la limpidezza di orizzonti
puri e sconfinati che egli è abituato a vedere tra gli
abissi incorniciati di azzurro e le fughe violacee, terribili
dei giacciai: il senso dello smisurato, la purezza del cielo,
la lusinga di solitudini vergini, il riposo dei silenzi profondi
della montagna, tutto ritrova in Africa. La carovaniera non rassomiglia
alla tortuosa mulattiera dell'Alpi? Ha nella sinuosa vena l'istessa
attrattiva; proviene dal suo incedere lento e difficile, lo stesso
ilare tormento: la carovaniera come la mulattiera non seleziona
gli animi e non goggia il carattere alla volontà silenziosa
e decisa, all'ardire calmo e tenace? L'Africa perciò diede
il suo ultimo tocco alla complessa figura del Colonnello Carlo
Mazzoli che lontano ebbe ebbe tutto il fasxino delle umane possibilità,
e tutti gli impulsi del'ardimento. L'Africa aveva l'atmosfera
capace per raccogliee gli ultimi possenti conati di Carlo Mazzoli
perchè le linee del suo spirito provenivano dall'immenso.
Era tornato con l'anima candida di Jauffrè Roudel e con
la passione di un cavaliere crociato. Il senso eroico in lui ebbe
nuove sfumature: l'audacia irresistibile ebbe nuovi bagliori.
Percorse con la sua francescana passione le strade e rifece con
bontà evangelica tutte le carovaniere dell'Africa di Cirene.
Ebbe la pazienza del pellegrino, il sorriso dell'asceta in cerca
di solitudini pure, l'ansia vibrante dell'apostolo, attratto da
miraggi lontani. Il suo destino intanti si compieva: nella ilare
fatica del suo andare, la sua fibra si affievoliva; ma l'eroismo
della volontà, forte come l'altro del cuore, non gli faceva
avvertire le sorde mine che si nasxondevano nella sua combattuta
esistenza. Non volle credere di essere malato; camminò
febbricitante come un missionario di un ideale leggendario; contese
passo passo la sua virile compostezza di soldato ai tarli del
male che poi lo riprese più violento e più forte
dopo un ciclo di operazioni che compì dormendo all'addiaccio
coi suoi militi, rra il crepitare del bivacco, durante le lunghe
notti ivernali.
Poi lo portarono via a forza dal suo lettino da campo: si fece
mettere addosso la fotografia della mamma e un'altra immagine
cara che aveva sempre con lui.
All'Ospedale visse pochi giorni: il delirio lo avvolse presto
nelle sue sfere infocate: vedeva fantasmi di gesta eroiche uscite
da atmosfere paradossali. Al Tenente Peis aveva spedito un telegramma
strano che la sua fantasia turbata dalla febbre aveva dettato
ad un milite fedele: "Montate tutte le mattine il mio cavallo
- aveva telegrafato - ho buona speranza di potermene servire".
Poi cominciò a sorridere. Sorrise una notte e un giorno,
dinanzi alle fantasie fertilizzate dalla calda vena del delirio.
Quando cessò di sorridere venne la fine. La sua morte fu
come la corsa di un astro verso un altro firmamento. quel suo
lungo sorriso la scia dorata dell'ultimo passo verso l'eternità.