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         alpini 
          del territorio bolognese romagnolo 
        il Tenente Colonnello Carlo Mazzoli         
        
          di Giuseppe Martelli  
          pubblicato il 1° maggio 2005  
         
         
           
            Il 
            2 giugno 1928 all’ospedale di Bengasi in Cirenaica, moriva colpito 
            da tifo, il romagnolo pluridecorato Tenente Colonnello degli alpini 
            Carlo Mazzoli di Cesena, leggendaria figura della quale gli alpini 
            cesenati sono orgogliosi ed alla cui memoria hanno intitolato il loro 
            Gruppo fin dalla prima costituzione nel lontano 1932. Già ricordato 
            in altra parte del sito quale precursore dell’idea sull’utilizzo dei 
            cani da slitta in alta quota nella guerra 1915-18, ne ripropongo oggi 
            un aggiornato ricordo biografico collocandolo, giustamente, fra i 
            grandi Alpini del nostro territorio. 
         
        
           
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                Sottotenente dei Granatieri 
                  con  
                  il fratello 
                  Giuseppe, sacerdote. 
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          Carlo 
            Mazzoli era nato a Cesena, in Provincia di Forlì, il 31 agosto 1879. 
            Fiero ed irrequieto nipote di Felice Orsini (1), sua madre 
            ne era la sorella, nel 1901 entra in Accademia come lui stesso ricordava: 
            < A ventidue anni mi sono dato all’Italia. Vivo di essa e per 
            essa, indifferente a tutte le gioie ed a tutti i dolori della vita > Al termine del corso con il grado di Sottotenente viene assegnato 
            nel settembre 1905 in servizio di prima nomina nei Granatieri e pochi 
            mesi dopo transita negli Alpini assegnato al Battaglione “Edolo” del 
            5° Reggimento Alpini. Con questo reparto partecipa dall’ottobre 1911, 
            come Tenente fresco di nomina, alla campagna di Libia dove si distingue 
            nei combattimenti di Derna dell’11 e 12 febbraio 1912 guadagnando 
            una medaglia d’argento, ed in quelli successivi del 17 settembre in 
            località “Rudero” e dell’8-10 ottobre a Bu Msofer, guadagnando due 
            medaglie di bronzo. Con la conclusione della guerra italo-turca, dal 
            gennaio 1913 viene inviato in Albania quale componente della commissione 
            internazionale per la riorganizzazione di quello Stato. Richiamato 
            in patria nel gennaio 1915 e promosso Capitano, transita nell’8° Rgt. 
            Alpini. Con l’entrata in guerra dell’Italia gli viene affidato il 
            comando della 97ª compagnia del Btg. “Gemona” ed inviato a presidiare 
            la Val Dogne in Carnia. Prestante nel fisico, al pari degli alpini 
            friulani che compongono quasi esclusivamente la compagnia, ha un forte 
            ascendente sui suoi uomini che guida nelle varie azioni ponendosi 
            sempre alla testa. Ai soldati piace anche la sua spregiudicatezza 
            e l’anticonformismo. Spesso li comanda in pattuglia di notte nelle 
            retrovie per razziare legname o altro materiale al comando del Genio 
            “sordo” alle richieste del fabbisogno. Per il suo aspetto decisamente 
            anticonformista, porta i capelli lunghi fino alle spalle e una folta 
            barba, è presto soprannominato il Garibaldi della Val Dogne. 
             
            
            
         
        
           
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              Capitano in Val Dogne 
                attorniato dai suoi famosi grossi cani.  | 
           
         
         
          Altra 
            sua caratteristica è quella di attorniarsi di grossi cani che personalmente 
            addestra a varie mansioni e che conduce all’attacco. Per il suo determinante 
            apporto, per la scaltrezza ed impiego tattico della compagnia nella 
            battaglia del 18 e 19 ottobre che porta la conquista del Mittagskofel, 
            viene promosso al grado di Maggiore per meriti di guerra. La promozione 
            però, con suo grande rammarico, lo allontana dagli alpini in quanto 
            destinato al comando di un battaglione di fanteria. Teatro di battaglia 
            sono le quote di Selz (Gorizia). Anche qui si distingue per l’audacia 
            ed i vittoriosi risultati ed è decorato con un’altra medaglie d’argento 
            (2). I comandi austriaci che cercano caparbiamente con ripetuti 
            attacchi di riconquistare le posizioni perdute, sempre tenacemente 
            respinti, lo chiamano “il diavolo” e ne hanno posto una taglia per 
            la sua cattura. Nell’ennesima battaglia sostenuta sul finire del 1916 
            a difesa della Quota tenacemente presidiata dal suo Battaglione, una 
            bomba lo abbatte procurandogli ben tredici ferite. Raccolto con delle 
            coperte dai suoi fanti (come d’uso per i morti, che così lo credono) 
            e portato al vicino ospedale da campo, dopo tre mesi, contro ogni 
            più rosea previsione, è di nuovo in piedi. Per tutto il periodo trascorso 
            in ospedale inoltra sistematicamente per via gerarchica domanda di 
            rientrare negli alpini. Dimesso in anticipo sul decorso medico stabilito 
            per poter raggiungere impaziente il promesso comando di un reparto 
            alpino e precisamente del battaglione “Val d’Orco” del 4° Rgt. Alpini, 
            il 16 febbraio 1917 giunge a Bormio per assumerne il comando.  
            
         
        
           
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                Ten. Colonnello nel gennaio                  1918. Sul braccio il distintivo che indica ferito di guerra. 
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          Assegnato 
            alla difesa di Val Zebrù a Capanna Milano (m. 2877) si rende ben presto 
            protagonista di quella “guerra bianca” d’alta quota che lo vede quale 
            principale stratega nei successivi venti mesi di guerra. Resosi subito 
            conto di essere si alpino ma non alpinista, nel senso tecnico della 
            definizione che comprende anche la necessità legata al teatro di battaglia, 
            affronta subito un duro addestramento con gli scalatori arditi di 
            Val Zebrù. Per risparmiare estenuanti fatiche ai suoi alpini organizza 
            per primo una “corvè” di asini per il traino di slitte con viveri 
            e munizioni, ben presto sostituiti con migliori risultati, dai suoi 
            grossi cani che personalmente addestra. Questa sua idea, raccolta 
            dallo Stato Maggiore Esercito, porta ad istituire un “reclutamento” 
            di cani da slitta inviati prima presso i canili militari per l’addestramento 
            (il più importante è a Bologna), quindi assegnati ai reparti alpini 
            “cagnari”. Nel maggio 1917 dopo accurato studio e preparazione, si 
            rende protagonista dell’azione di conquista della quota a m. 3800 
            di cima Königspitze, a pochi metri dagli austriaci, quota che rimane 
            la più alta occupazione dell’esercito italiano raggiunta per “via 
            ordinaria”. Ai primi di settembre guida la riconquista della strategica 
            quota 3555 di Punta Trafoier, strappata agli alpini qualche giorno 
            prima con lo stratagemma di una galleria di circa 1400 metri scavata 
            nel ghiaccio. Sorpreso dal metodo insidioso e nuovo usato dal nemico, 
            decide subito il contrattacco, scegliendo però lo scontro diretto, 
            frontale. L’azione riesce e molti sono i decorati, escluso il comandante. 
            Promosso Tenente Colonnello nel gennaio 1918, si rende ancora protagonista 
            di altre impegnative azioni per la conquista definitiva dell’intero 
            gruppo Ortles, Zebrù, Cevedale, San Matteo. Con la conclusione della 
            guerra e la resa austriaca del 4 novembre 1918 viene nominato nella 
            Commissione istituita per definire i nuovi confini dell’Italia. Nel 
            1920 conclusi i lavori della Commissione italo-austriaca viene assegnato 
            in servizio al Comando del 2° Rgt. Alpini. Insofferente alla vita 
            di caserma, amante come è degli spazi aperti, pochi mesi dopo chiede 
            ed ottiene di partire per la Cirenaica con l’incarico di consulente 
            militare.  
            
         
        
           
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                I solenni funerali a Cesena. 
                  In primo piano in basso si nota  
                  la presenza 
                  di un reparto d’onore di alpini 
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          Rimpatriato 
            nel 1926 per fine missione, al termine della licenza chiede di ritornare 
            ancora in colonia dove assume il comando di un reparto di polizia 
            militare con compiti di scorta armata alle carovane dei coloni italiani. 
            Ammalatosi di tifo per l’acqua inquinata di un’oasi, muore all’ospedale 
            di Bengasi il 2 giugno 1928.  
          La 
            salma riportata in Italia ed onorata con solenni funerali alla presenza 
            delle massime autorità cittadine e reparti in armi, viene tumulata 
            nel cimitero di Cesena. 
         
          
        
           
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               Gagliardetto del “Plotone” 
                Cesena, periodo 1938-1943,  
                ancora oggi conservato nella sede.   | 
           
         
          
           
          (1) Felice Orsini nato a Meldola, Forli, il 10 dicembre 
            1819, ghigliottinato a Parigi il 13 marzo 1858. 
            (2) Medaglia d’argento non indicata nell’albo 
            dei decorati in quanto ottenuta non in servizio in reparto alpino. 
(a) altre notizie sul Ten. Col. Carlo Mazzoli 
            apri pagina: a Bologna un canile militare per 
            gli alpini 
            
            
            
            
         
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