rassegna
stampa da L’ALPINO
periodico dell’Associazione Nazionale Alpini
Muli
della 23ª batteria
di Antonio Bosi *
pubblicato il 1° novembre 2010
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO
7
febbraio: venerdì. (1941 ndr)
Stamane
la nebbia è scomparsa, ma il cielo è rimasto nuvoloso e la temperatura
fredda.
Spariamo
diciannove colpi sulle case di q. 1100 ove si ritiene sia posto
un Comando di un battaglione greco.
Poco
dopo ci giunge l’ordine di ritornare ancora una volta sulla vecchia
posizione a q. 750 sul costone dietro l’abitato di Bargullas. Viene
così di nuovo a cessare il nostro compito di batteria garibaldina
in linea con la fanteria, pronta ad intervenire ad ogni richiesta
di fuoco. All’imbrunire dobbiamo essere di nuovo in posizione coi
dati aggiustati sul tiro di sbarramento. Trasportiamo prima i pezzi
poi le munizioni. Il cielo già nuvoloso e grigio va schiarendosi
ed aumenta, proprio ora in cui ci sarebbe propizio la nebbia, la
visibilità. Non sono ancora partiti i primi muli che giungono sulle
basse pendici del Tomori due colpi di mortaio greco seguiti a breve
distanza dalle granate di un pezzo, prima sul costone ove stanno
i pezzi, poi più lunghe e che vanno a scoppiare nei prati dietro.
…I nostri muli si sono appena incamminati a lunghi intervalli,
coi carichi nascosti dalle mantelline, lungo la mulattiera…
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I
nostri muli si sono appena incamminati a lunghi intervalli, coi
carichi nascosti dalle mantelline, lungo la mulattiera, che sono
bersagliati dal tiro preciso di granate di 75 nemici che battono
tutta la mulattiera. Si fanno ritornare e scaricare i più vicini;
gli altri sono ormai distanti e si spera ancora nella fortuna che
ci ha fino ad ora protetti. Noi sentiamo la rabbia della nostra
impotenza provando di persona la massima che, quando l’artiglieria
si sposta, si trova in crisi. Seguiamo con amarezza il susseguirsi
dei colpi sempre più lunghi sulla mulattiera, temendo ogni volta
di più per la sorte dei nostri uomini e dei nostri muli. Un colpo
cade a pochi metri da Barnabò: due scoppiano avanti e dietro a un
mulo nostro abbandonato dal conducente, e rimasto lì immobile, senza
il minimo segno di turbamento. L’intensità di fuoco aumenta e vediamo
scoppiare quasi simultaneamente sei colpi intorno a un nostro mulo.
La povera bestia evidentemente colpita in pieno si scorge ruzzolare
fuori dalla mulattiera sui campi sottostanti, avvolta nella nube
nera delle granate. Il conducente si vede poco dopo, dietro una
baracca presso la quale aveva trovato riparo: cammina e fortunatamente
non appare ferito. Le granate allungano ancora i loro scoppi, ma
ormai i muli sono defilati nelle curve della strada: non ottengono
più alcun effetto.
Cessato
il fuoco, ci giungono le prime notizie recate dagli alpini, ma dobbiamo
attendere il ritorno dei nostri portaferiti, mandati avanti, per
sapere qual è la vittima. E’ morto Rugginello: il mulo più bello,
più forte e più fiero della batteria, il quadrupede che avrebbe
contraddistinto la 23ª fra tutte le batterie alpine.
Per
il suo mantello sorcino che passava dal giallo, criniera di leone
a primavera, al baio bruciato in inverno, e per il suo carattere
piuttosto diffidente verso chiunque, avevamo nobilitato la sua origine
chiamandolo incrocio di toro e leone. Ed aveva dell’uno la forza
e la massa, e dell’altro l’insofferenza e la maestà. Da dieci anni
gli artiglieri che si erano avvicendati in batteria l’avevano sempre
visto portare il medesimo carico, la slitta, che portava su quel
dorso e, con quella disinvoltura, assumeva le proporzioni di un
giocattolo.
.…Tetragono
a tutte le fatiche, a tutte le inclemenze delle stagioni, ai disagi delle fredde notti all’addiaccio, nel fango e
sotto la neve….
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Molti
lo ammiravano, tutti lo temevano: e sistematicamente ogni anno anche
colui che gli era unico amico doveva ricoverarsi all’ospedale per
l’incostanza del suo umore: e continuava poi, quasi calmato da quello
sfogo solenne, a compiere il suo dovere di mulo di linea pezzi.
E la scontrosità del suo carattere non si manifestava soltanto nei
riflessi di quelle bestie che troppo spesso sono i soldati, ma anche
verso gli altri muli costretti talvolta a subirne gli effetti. Ed
aveva voluto per dieci anni vivere segregato da loro, da solo, in
un box, al quale accedeva con la prepotenza e la dignità di un dominatore.
Anche nella morte, è rimasto diverso e superiore. Tetragono a tutte
le fatiche, a tutte le inclemenze delle stagioni, ai disagi delle
fredde notti all’addiaccio, nel fango e sotto la neve, con la fame
appena calmata da una manata di biada o da un fascio di sterpi,
era inattaccabile dalle normali cause di decesso. E non s’è spento,
stremato di forze sotto una catapecchia cadente, ma sulla sua strada,
la mulattiera, col suo carico, la slitta, in piedi: con una coscia
spezzata dalla granata, col fianco aperto da una scheggia, s’è retto
ancora un attimo, ha girato i suoi grandi occhi spaventati come
per trovarsi l’ultimo giaciglio, ed è precipitato come la quercia
schiantata dal fulmine. Ad ogni conducente aveva lasciato ogni anno
un ricordo maligno: all’ultimo, con la sua mole ha fatto da scudo
e gli ha fatto dono della vita. E quel rosso ragazzo bresciano sarà
forse l’unico dei conducenti che sentirà il dolore per la sua morte
e che gli serberà, velata di malinconia, un po’ di gratitudine.
La
notte scorsa è morto pure Ronago, il porta bocche da fuoco: ma la
sua è stata un’agonia lenta, dolorosa, protrattasi per più di un
mese, dovuta forse ad uno scompenso cardiaco per eccessiva fatica.
Non
aveva la mole di Rugginello e neppure la sua rusticità: ma era un
bel mulo, quadrato, dalle spalle potenti, dai reni saldi e corti
che si univano ad una groppa spiovente, si che l’intero corpo appariva
come proiettato in avanti destando un’impressione di impetuosa potenza.
Nelle tristi giornate del Natale, nonostante la fame sofferta per
tre giorni consecutivi ed il lavoro continuo, sotto la pioggia e
la neve, sulle mulattiere melmose, aveva trasportato l’obice con
una volontà tenace, camminando potente e sicuro con quella sua andatura
caratteristica, testa leggermente abbassata e azionando gli anteriori
di forza, come per gettar dietro di sé ogni metro di strada che
conquistava. All’alba del venticinque fu ancora lui l’unico dei
muli del suo pezzo ancora in grado di ritornare oltre Dobrusha verso
Teguri per recuperare i carichi abbandonati durante la notte. E
rifece il cammino da Dobrusha a Novany portando oltre all’obice
gli scudi para-munizioni due granate: due quintali camminando per
quattro ore. Era un leone. A notte ritornò fin quasi a Dobrusha
ancora nel tentativo di recuperare parti del terzo pezzo, rimaste
in territorio occupato dal nemico, e ritornò con un carico di munizioni.
....Ed è andato progressivamente deperendo ostentando, col
cuore in sussulti
verso le mulattiere che ormai poteva appena risalire scarico….
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Ma
lo sforzo prodigato dal suo carattere generoso e dal suo fisico
esuberante aveva conseguenze deleterie sul suo cuore di mulo quindicenne.
E s’è disfatto lentamente, cadendo per la prima volta di notte nella
fanghiglia della mulattiera per portare i pezzi della 44ª da Brach
a Capinove e poi un’alba fredda di gennaio in cui dovevo trasferirci
a Novany.
Da
allora nessuno ha più osato gravare quel dorso dell’usato carico
per una dolorosa compassione verso la brava bestia che aveva dato
tutta la sua vita al suo dovere. Ed è andato progressivamente deperendo
ostentando, col cuore in sussulti verso le mulattiere che ormai
poteva appena risalire scarico. Ed ha disteso le zampe in una buia
stalla albanese presso il compagno porta testata, Oreno, che guardandolo
con il suo sguardo pacato di vecchio cappuccino, lo ha salutato
per sempre.
Erano
forse venuti in una stessa giornata a Belluno indomiti muli di rimonta,
undici anni fa e sono morti, come detta il comandamento alpino,
insieme, dopo aver fatto, tacendo, sempre e tutto il loro sudato
dovere.
* * *
L’ultima parte dell’articolo con la firma del
Sottotenente Antonio Bosi
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All’imbrunire
trasportiamo l’unico pezzo rimasto ed a notte alta uomini e muli
ritornano per il trasporto delle munizioni. Ci illumina la luna
alta nel cielo scintillante di stelle: all’una tutti gli uomini
sono ritornati, le tende di nuovo piantate e si va finalmente a
riposare.
Un
pacco con biscotti e cioccolato giuntomi nella serata, ci rallegra
un po’ tutti, facendoci dimenticare le ansie ed il dolore del giorno
finalmente passato.
Pubblicato
(solo il testo) sul giornale associativo L’ALPINO n° 14
del 15 luglio 1941
Antonio Bosi |
*Antonio
Bosi da Castelbolognese, Ravenna, Sottotenente in servizio alla
23ª batteria Gruppo “Belluno” del 5° Rgt. Artiglieria Alpina
Divisione “Pusteria”.
Nella
fotografia in alto è l’alfiere della Bandiera di guerra del
Reggimento scortata, sulla sinistra, dal comandante Col. Giuseppe
Molinari da Portomaggiore, Ferrara, già ricordato in questo
sito. apri biografia
(fotografia gentilmente concessa
dai figli del Col. Molinari)
Con
la rinascita della Sezione bolognese romagnola nel dopoguerra,
è fra i primi ad iscriversi e dal 1950 al 1959 è alla guida
quale Capogruppo del rinato Gruppo di Castelbolognese,
quindi dal 1960 al 1997 del Gruppo di Bagnacavallo, sempre in
provincia di Ravenna.
Deceduto a Castel Bolognese il 30 dicembre 2006. |
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