Notte
del 15 giugno.(1) Si preparano i sacchi a terra, li si riempiono.
Non si parla, non si può parlare. Il tascapane pesa, gonfio com’è
di cartucce; dal Kozliac tratto tratto si leva il capo verso Monte
Nero, la cui massa nera domina nel tremolio delle stelle. Si va?
Partono prima l’84^ e la 31^. Ci si saluta in silenzio; noi si stringe
i denti, perché dovremo seguire, e non andare con loro. Cosa c’è
su Monte Nero? Pattuglie? Battaglioni? Le due compagnie sono partite.
Ascoltiamo. Ma non si sente muovere un sasso, nulla, il silenzio
s’è ingoiato i nostri. Sono dunque fermi? Perché non si sentono?
Si aguzza l’udito, spasmodicamente: nulla, sempre nulla. Si soffre
per loro che vanno, per noi che non andiamo ancora. Le due di mattina:
“ordine d’avanzare anche alla 33^ compagnia”. Respiriamo, chè l’inazione
ci uccideva. Si sale, si sale e sembra di essere più leggeri ad
ogni metro salito. L’alba illividisce già ogni cosa attorno a noi;
siamo a metà del monte. Ma loro che non si sentono ancora, loro
che sono partiti prima di noi? Quasi in risposta alla nostra angosciosa
domanda un crepitio di fucilate, un clamore rabbioso in alto; rimbalzano
giù, sino a noi, i sassi smossi. Lassù combattono. Il nostro petto
si gonfia, i muscoli si irrigidiscono; corriamo, più che salire,
e non lo sappiamo, e non ci si stanca. Lassù combattono.
Una
barella scende lentamente, portata quasi con religione da quattro
alpini. Dietro un attendente, il capo scoperto, piange. – Chi è
– Il Tenente Picco (2)- .Non abbiamo il coraggio di scostare
la coperta che ricopre il suo bel viso d’adolescente. Lo ricordiamo
troppo come partì, poche ore fa. Addio Picco. Tu scendi lentamente,
sorretto da quattro alpini, mentre il tuo nome sale in alto in alto,
spazia sopra di noi. Questa sera i tuoi soldati, accucciandosi finalmente
nell’inospitale buca di roccia non si addormenteranno subito, schiacciati
dall’immane peso dell’eroica fatica. Sottovoce parleranno di te:
racconteranno della luce azzurrognola che ti circondava mentre,
primo fra i primi, maneggiavi il moschetto come clava. Ed in sordina,
nel buio della notte, si alzerà l’ingenua, la santa canzone che
i tuoi alpini per te composero:
O
luna o luna, ma come splendevi
Il
bruno suo capo per illuminar.
O
luna o luna, ma tu lo sapevi
Che
il tenente Picco non può tornar.
Da
poche ore sei partito fra i tuoi, eroe. Ed ora già fra i tuoi ritorni,
simbolo.
Abbiamo
la gioia d’arrivare su quando il combattimento non è ancora finito.
Avanti alpini! Si salta da una trincea all’altra…l’ultima crestina,
l’ultima resistenza, via, Savoia! Le baionette al sole hanno sprazzi
acri, quasi feroci, le nostre voci hanno risuonanze ignote a noi
stessi, le orecchi fischiano. Savoia, alpini! Le ultime tuniche
azzurre fuggono oramai in disordine a cercare riparo negli enormi
crepacci, nelle inaccessibili asperità del terribile Monte Rosso,
fratello minore di Monte Nero. I loro morti, sparsi sulla cresta,
sembrano allineati dalla mano del destino a ricordare la strada
percorsa da noi. Al nostro occhio stupefatto si rivela uno spettacolo
indimenticabile: sotto a noi la miracolosa selva di creste, di picchi,
di valloni che il Potoce ed il Bogatin racchiudono. Ma sotto. Noi
siamo più in alto di tutto, ora. Solo quando tutto è calmo ci accorgiamo
del viso stravolto di Albarello (3), per la prima volta vediamo
luccicare qualcosa nei suoi occhi, fermati quasi con rabbia dalle
rughe decise scavate tra le sopraciglia. – L’avete visto?…- ci chiede.
Pensa a Picco, a cui ha dato l’ultimo bacio prima.
Il “paginone” (ridotto per praticità) realizzato da NOELQUI per illustrare
la canzone MONTENERO.
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Appena
conosciuta l’impresa di Monte Nero fiorirono le leggende. La più
diffusa è che nella famosa arrampicata di notte ci si fosse fasciati
i piedi; qualcuno parlò anche di alpini scalzi. Avevamo invece tutti
scarponi chiodati scarponi alpini che si pesterebbero volentieri
in testa a chi volle parlare senza sapere. Forse la leggenda nacque
così: quando, giorni dopo, ci si ritrovò con gli altri che dal basso
avevano ansiosamente ascoltato senza cogliere il minimo rumore,
la loro domanda fu: - Ma come avete fatto a camminare così leggeri?
– Ed un alpino, di rimando, serio serio: - Tutti descaus, dco ‘l
pare. (Tutti scalzi, anche il papà) - Papà era Albarello. Probabilmente
la sua frase girò, fu presa sul serio, e noi, dall’opinione pubblica,
si fu spediti scalzi su Monte Nero per arrivare tutti con i piedi
congelati!
Mentre
noi si attaccava frontalmente, il Battaglione Susa, girando la posizione,
chiuse fra noi e loro un intero battaglione ungherese che dovette
arrendersi dal primo all’ultimo uomo. La cosa fu tanto fulminea
che il Susa trovò caldo caldo il caffè fatto dagli austriaci e naturalmente…non
si fece pregare per ristorarsi dopo la marcia.
Un
aneddoto caratteristico ricordo. L’attacco avvenne tanto impreveduto
e tanto completamente riuscì che per parecchio tempo le retrovie
austriache non seppero che c’eravamo noi in alto al posto dei loro
compagni. Così verso le undici del mattino ebbimo la sorpresa di
veder capitare fra noi, lemme lemme, il cuoco della mensa ufficiali
austriaci che, il capo chino sotto il peso della scorta, nemmeno
s’avvedeva d’essere fra gente vestita di grigio verde. Rinuncio
a descrivere la faccia del distratto cuoco austriaco quando vide
i suoi piatti gustati allegramente da noi.
Di
Monte Nero non si sapeva nulla. E, dopo, fu un affar serio tener
fermo i saldati che, come sapete avevano l’abitudine di andare avanti,
frugare, ficcare il naso in ogni buco sconosciuto, così per curiosità
irrefrenabile, per trovare quello che lasciavano gli “arabi”. Nella
trincea di un “Cecchino” ci trovarono un mazzo di carte da gioco
ed un bell’ombrellone verde che adoperarono subito per ripararsi
dal sole, mentre ritornavano in trincea.
Un
giorno mandammo una pattuglia in ricognizione verso una trincea
nemica. Passa un’ora, ne passano due e la pattuglia non torna. Impensieriti
poiché la trincea era vicinissima, spicchiamo un’altra pattuglia
a cercare la prima. La trovarono insediata nella trincea austriaca
che mangiava e bevevo a quattro palmenti avendo scoperto un sacco
da ufficiale austriaco ricolmo d’ogni sorta di ben di Dio: cioccolata,
vino, salamini, rhum…La cosa fu saputa dai soldati. Un’ora dopo,
all’appello, ne mancavano quattro; ma oramai sapevamo il fatto nostro:
mandammo dritto alla trincea dei salamini e ce li trovavano tutti
e quattro che cercavano coscienziosamente. Certo, per quanto non
le si permettessero ai soldati, queste peregrinazioni guidate dalla
curiosità attirano pure noi. Fu appunto in una di queste, il giorno
dopo la conquista, che in una trincea semifranata scopersi un macabro
e stranissimo groviglio: due cadaveri austriaci, nudi dalla cintola
in su, le gambe legate assieme, decapitati entrambi, forse dalla
stessa granata. Accanto a loro i due fucili, capovolti, erano piantati
a terra per la baionetta e legati da una cinghia. Cosa significava
quel mistero? Ecco che ai creatori di leggende porgo, con questo
ricordo, il destro di aumentare di qualche chilogrammo il monte
dei fogli scritti a riguardo di Monte Nero.
NOELQUI