rassegna stampa da L’ALPINO

periodico dell’Associazione Nazionale Alpini

IN PENOMBRA
di Noël Quintavalle *

pubblicato il 15 novembre 2010
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO

Comunicati, articoli, profili, medaglioni, novelle, volumi…quanto s’è scritto su Monte Nero? Forse accumulando questo po’ po’ di carta si arriverebbe ad un monte poco meno alto di Monte Nero. E pure di lui ancor oggi non si sa nulla; sui suoi fianchi ha potuto fiorire la pianta della leggenda, ed attorno a lui gorgoglia tuttavia il lago delle notizie inventate.

Naturale. Perché la guerra non si può scrivere e descrivere. Chi l’ha fatta lo sa. Vi sono cose tanto grandi da non poterle rendere. Lo so, Michelangelo ha dipinto il Giudizio universale, Dante s’è “annerito il volto ed arricciata la barba al fumo dell’inferno” per dirla coi maligni del suo tempo. Ma, non parlando della smisurata grandezza di questi due, chi può controllare se il giudizio finale od i gironi dell’inferno sono precisamente com’essi li descrivono? Mentre la guerra molti l’hanno fatta, molti occhi ne serbano nella retina la visione. Retorica, belle parole… E la guerra è passata, nessuno l’ha saputa dire. E se altre verranno passeranno e nessuno lo dirà. Per me il poema di Monte Nero è nello scheletrico volume dello Stato Maggiore del Regio Esercito “La conquista del Montenero”.

Il Monte Nero visto dalla Colletta Vallero.

Perché a Monte Nero c’ero anch’io. Ed in quelle nude parole, non una superflua, dei comunicati, ci ritrovo il nostro Monte Nero, che non ci trovai in altre descrizioni di pagine e pagine.

E rileggendo rivivo.

Notte del 15 giugno.(1) Si preparano i sacchi a terra, li si riempiono. Non si parla, non si può parlare. Il tascapane pesa, gonfio com’è di cartucce; dal Kozliac tratto tratto si leva il capo verso Monte Nero, la cui massa nera domina nel tremolio delle stelle. Si va? Partono prima l’84^ e la 31^. Ci si saluta in silenzio; noi si stringe i denti, perché dovremo seguire, e non andare con loro. Cosa c’è su Monte Nero? Pattuglie? Battaglioni? Le due compagnie sono partite. Ascoltiamo. Ma non si sente muovere un sasso, nulla, il silenzio s’è ingoiato i nostri. Sono dunque fermi? Perché non si sentono? Si aguzza l’udito, spasmodicamente: nulla, sempre nulla. Si soffre per loro che vanno, per noi che non andiamo ancora. Le due di mattina: “ordine d’avanzare anche alla 33^ compagnia”. Respiriamo, chè l’inazione ci uccideva. Si sale, si sale e sembra di essere più leggeri ad ogni metro salito. L’alba illividisce già ogni cosa attorno a noi; siamo a metà del monte. Ma loro che non si sentono ancora, loro che sono partiti prima di noi? Quasi in risposta alla nostra angosciosa domanda un crepitio di fucilate, un clamore rabbioso in alto; rimbalzano giù, sino a noi, i sassi smossi. Lassù combattono. Il nostro petto si gonfia, i muscoli si irrigidiscono; corriamo, più che salire, e non lo sappiamo, e non ci si stanca. Lassù combattono.

Una barella scende lentamente, portata quasi con religione da quattro alpini. Dietro un attendente, il capo scoperto, piange. – Chi è – Il Tenente Picco (2)- .Non abbiamo il coraggio di scostare la coperta che ricopre il suo bel viso d’adolescente. Lo ricordiamo troppo come partì, poche ore fa. Addio Picco. Tu scendi lentamente, sorretto da quattro alpini, mentre il tuo nome sale in alto in alto, spazia sopra di noi. Questa sera i tuoi soldati, accucciandosi finalmente nell’inospitale buca di roccia non si addormenteranno subito, schiacciati dall’immane peso dell’eroica fatica. Sottovoce parleranno di te: racconteranno della luce azzurrognola che ti circondava mentre, primo fra i primi, maneggiavi il moschetto come clava. Ed in sordina, nel buio della notte, si alzerà l’ingenua, la santa canzone che i tuoi alpini per te composero:

O luna o luna, ma come splendevi

Il bruno suo capo per illuminar.

O luna o luna, ma tu lo sapevi

Che il tenente Picco non può tornar.

Da poche ore sei partito fra i tuoi, eroe. Ed ora già fra i tuoi ritorni, simbolo.

Abbiamo la gioia d’arrivare su quando il combattimento non è ancora finito. Avanti alpini! Si salta da una trincea all’altra…l’ultima crestina, l’ultima resistenza, via, Savoia! Le baionette al sole hanno sprazzi acri, quasi feroci, le nostre voci hanno risuonanze ignote a noi stessi, le orecchi fischiano. Savoia, alpini! Le ultime tuniche azzurre fuggono oramai in disordine a cercare riparo negli enormi crepacci, nelle inaccessibili asperità del terribile Monte Rosso, fratello minore di Monte Nero. I loro morti, sparsi sulla cresta, sembrano allineati dalla mano del destino a ricordare la strada percorsa da noi. Al nostro occhio stupefatto si rivela uno spettacolo indimenticabile: sotto a noi la miracolosa selva di creste, di picchi, di valloni che il Potoce ed il Bogatin racchiudono. Ma sotto. Noi siamo più in alto di tutto, ora. Solo quando tutto è calmo ci accorgiamo del viso stravolto di Albarello (3), per la prima volta vediamo luccicare qualcosa nei suoi occhi, fermati quasi con rabbia dalle rughe decise scavate tra le sopraciglia. – L’avete visto?…- ci chiede. Pensa a Picco, a cui ha dato l’ultimo bacio prima.

Il “paginone” (ridotto per praticità) realizzato da NOELQUI per illustrare la canzone MONTENERO.

Appena conosciuta l’impresa di Monte Nero fiorirono le leggende. La più diffusa è che nella famosa arrampicata di notte ci si fosse fasciati i piedi; qualcuno parlò anche di alpini scalzi. Avevamo invece tutti scarponi chiodati scarponi alpini che si pesterebbero volentieri in testa a chi volle parlare senza sapere. Forse la leggenda nacque così: quando, giorni dopo, ci si ritrovò con gli altri che dal basso avevano ansiosamente ascoltato senza cogliere il minimo rumore, la loro domanda fu: - Ma come avete fatto a camminare così leggeri? – Ed un alpino, di rimando, serio serio: - Tutti descaus, dco ‘l pare. (Tutti scalzi, anche il papà) -  Papà era Albarello. Probabilmente la sua frase girò, fu presa sul serio, e noi, dall’opinione pubblica, si fu spediti scalzi su Monte Nero per arrivare tutti con i piedi congelati!

Mentre noi si attaccava frontalmente, il Battaglione Susa, girando la posizione, chiuse fra noi e loro un intero battaglione ungherese che dovette arrendersi dal primo all’ultimo uomo. La cosa fu tanto fulminea che il Susa trovò caldo caldo il caffè fatto dagli austriaci e naturalmente…non si fece pregare per ristorarsi dopo la marcia.

Un aneddoto caratteristico ricordo. L’attacco avvenne tanto impreveduto e tanto completamente riuscì che per parecchio tempo le retrovie austriache non seppero che c’eravamo noi in alto al posto dei loro compagni. Così verso le undici del mattino ebbimo la sorpresa di veder capitare fra noi, lemme lemme, il cuoco della mensa ufficiali austriaci che, il capo chino sotto il peso della scorta, nemmeno s’avvedeva d’essere fra gente vestita di grigio verde. Rinuncio a descrivere la faccia del distratto cuoco austriaco quando vide i suoi piatti gustati allegramente da noi.

Di Monte Nero non si sapeva nulla. E, dopo, fu un affar serio tener fermo i saldati che, come sapete avevano l’abitudine di andare avanti, frugare, ficcare il naso in ogni buco sconosciuto, così per curiosità irrefrenabile, per trovare quello che lasciavano gli “arabi”. Nella trincea di un “Cecchino” ci trovarono un mazzo di carte da gioco ed un bell’ombrellone verde che adoperarono subito per ripararsi dal sole, mentre ritornavano in trincea.

Un giorno mandammo una pattuglia in ricognizione verso una trincea nemica. Passa un’ora, ne passano due e la pattuglia non torna. Impensieriti poiché la trincea era vicinissima, spicchiamo un’altra pattuglia a cercare la prima. La trovarono insediata nella trincea austriaca che mangiava e bevevo a quattro palmenti avendo scoperto un sacco da ufficiale austriaco ricolmo d’ogni sorta di ben di Dio: cioccolata, vino, salamini, rhum…La cosa fu saputa dai soldati. Un’ora dopo, all’appello, ne mancavano quattro; ma oramai sapevamo il fatto nostro: mandammo dritto alla trincea dei salamini e ce li trovavano tutti e quattro che cercavano coscienziosamente. Certo, per quanto non le si permettessero ai soldati, queste peregrinazioni guidate dalla curiosità attirano pure noi. Fu appunto in una di queste, il giorno dopo la conquista, che in una trincea semifranata scopersi un macabro e stranissimo groviglio: due cadaveri austriaci, nudi dalla cintola in su, le gambe legate assieme, decapitati entrambi, forse dalla stessa granata. Accanto a loro i due fucili, capovolti, erano piantati a terra per la baionetta e legati da una cinghia. Cosa significava quel mistero? Ecco che ai creatori di leggende porgo, con questo ricordo, il destro di aumentare di qualche chilogrammo il monte dei fogli scritti a riguardo di Monte Nero.

NOELQUI


Pubblicato, compreso i disegni dell’autore, sul giornale associativo dell’A.N.A. L’ALPINO n° 11 del 15 giugno 1925.

(1) La data è il 1915 (n.d.r.)
(2) Alberto Picco, sottotenente comandante squadra esploratori dell’84^ compagnia Btg. Exilles. (n.d.r.)
(3) Vincenzo Albarello, capitano comandante l’84^ compagnia del Btg. Exilles. (n.d.r.)

* Noël Quintavalle, in arte Noelqui, artista e scrittore d’origine ferrarese, già ricordato nel sito ( apri biografia )