archivio Giuseppe Martelli
dedicato agli alpini in armi e in congedo

La PREGHIERA DELL’ALPINO

nella storia delle generazioni in grigioverde

di Giuseppe Martelli,
autore delle ricerche iconografiche e documentali e dei testi

pubblicato il 1° giugno 2004

la “Preghiera dell’alpino” nella guerra 1940-1945

- capitolo primo -

 

Cartolina del periodo a tema etico-religioso dedicata agli artiglieri alpini, rappresentati nel classico ambiente montano, posti sotto la protezione di un angelo con la bandiera. Edizioni Bromostampa, Torino 1941. (collezione personale)

Nel periodo 1935-1938 è ormai acquisita come PREGHIERA DELL’ALPINO il testo comparso fra il 1922-1925 e che ho attribuito quale autore al Col. Celestino Bes. Con piccole variazioni o aggiunte invocazioni che non ne alterano i principali concetti originali, viene approvata dall’autorità ecclesiastica ed inserita nei libretti di preghiere per i soldati, cartoncini e “santini” distribuiti gratuitamente dai cappellani militari agli alpini.

I cappellani reduci dalla guerra 1915-1918 svolgono da oltre un decennio il ruolo di guida spirituale presso le Sezioni e Gruppi dell’Associazione Nazionale Alpini. Va precisato che non è stata ritrovata nessuna testimonianza scritta che indichi, in occasione di manifestazioni associative con funzioni liturgiche, la lettura della “Preghiera dell’alpino”. Essendo appunto una preghiera militare veniva recitata esclusivamente dal cappellano presso i reparti in armi. Il Presidente Nazionale degli alpini in congedo Angelo Manaresi, si “accorge” che il Corpo degli alpini non ha ancora il proprio Santo Patrono. Su L’ALPINO del 15 luglio 1938 dirama una circolare a tutti i cappellani alpini, in armi e in congedo, invitandoli a proporre le preferenze da sottoporre poi alla Santa Sede. Alla fine prevale San Maurizio e con Breve di papa Pio XII del 15 luglio 1941 viene accolta la petizione e indicato quale “ ..celeste Patrono presso Dio dell’esercito italiano denominato con il nome di Alpini”.

Negli anni di guerra che seguono nascono, dettate dalla singola spiritualità e sensibilità religiosa, diverse preghiere, dedicate alla Madonna, ad identificare la propria Specialità, a ricordo dei compagni più sfortunati, quale sostegno morale nella prigionia. Dal 1943 al 1945 vi sono esempi di preghiere che potremmo definire “contrapposte” come la situazione politica e militare italiana, che vede anche gli alpini divisi da scelte ideologiche, ognuno convinto di essere nel giusto. Anche i cappellani militari e le loro preghiere sono presenti in ogni situazione nei cinque lunghi anni di guerra, condividendo la sorte ed i sacrifici dei propri alpini e scrivendo per loro anche nuove preghiere. Nell’ultimo drammatico periodo i cappellani si pongono al servizio sia nell’una che nell’altra parte, affinché il sostegno religioso e la preghiera non manchi come punto di riferimento, nei reparti regolari come nelle formazioni clandestine, ponendosi al di sopra delle ideologie.

Il primo documento rintracciato con inserita la “nuova” PREGHIERA DELL’ALPINO, è una cartolina realizzata nel 1939 e distribuita a cura dell’ufficio del cappellano militare Padre Claudio Enrico Bianchini in servizio al battaglione alpini “Val d’Adige”. Si nota subito come sia evidente la radice dalla quale ha tratto l’ispirazione. Anche in questo caso non vi è la certezza storica che sia opera di questo cappellano il nuovo testo, anche se vi è la testimonianza del sacerdote Pietro Manca di Brindisi che invia al giornale L’ALPINO il testo di questa preghiera indicandola “composta dal cappellano del “Val d’Adige”, rimane comunque il fatto che è il primo e unico documento rintracciato nel periodo 1938-1939. Questa preghiera, con approvazione dell’Ordinariato Militare, diventa la nuova preghiera “ufficiale” delle truppe alpine.

Alpini del battaglione “Val d’Adige” nella classica foto ricordo scattata al termine di una esercitazione in alta montagna nell’autunno del 1939. In abito talare il cappellano del battaglione, Padre Don Claudio Enrico Bianchini. Sul retro di questa cartolina è pubblicata la “Preghiera dell’alpino” qui riprodotta. Per gentile concessione del nipote Claudio.

qui sotto per maggior chiarezza è trascritto il testo della Preghiera

La fanfara del battaglione alpini “Val d’Adige” con il cappellano Don Bianchini, in seconda fila. Anche sul retro di questa cartolina è stampata la “Preghiera dell’alpino” e corredata con una nota autografa come ricordo: La fanfara che mi fa da organo nelle funzioni devote e suggestive. Per gentile concessione del nipote Claudio.

PREGHIERA DELL’ALPINO

       Sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi che la Provvidenza ci ha dato per culla e creato a baluardo sicuro delle nostre contrade, in ogni angolo della terra o sui mari, ovunque l’anima nostra purificata dal dovere pericolosamente compiuto, è rivolta a Te, o Signore, che proteggi le nostre madri, le nostre spose, i nostri figli lontani, e ci aiuti a essere degni delle glorie dei nostri avi.

      Dio Onnipotente, che regoli tutti gli elementi, salva noi, armati di fede, e di amore, da ogni male spirituale; salvaci dal gelo demolitore, dalle furie della tormenta, e dall’impeto della valanga; fa che il nostro piede passi sicuro sulle creste vertiginose, sulle diritte pareti, sui crepacci insidiosi; fa che le nostre armi siano infallibili contro chiunque osi offendere la Patria, la nostra millenaria civiltà, la nostra bandiera gloriosa.

         Proteggi o Signore, l’amato Sovrano, il Duce nostro, e concedi sempre alle armi romane guidate da Augusta sapienza, il giusto premio della vittoria.

Con approvazione ecclesiastica

Ufficio del Cappellano Militare VI° Gruppo Alpini Valle

Batt. Val d’Adige

Tenente P. Claudio Enrico Bianchini, C.S.J.

 

Claudio Enrico Bianchini era nato a Bassano del Grappa il 25 gennaio 1902. Rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori viene affidato assieme al fratellino maggiore ad uno zio materno residente a Milano. Incline alla vita religiosa entra giovanissimo nel seminario dei Padri Giuseppini (Ordine fondato da don Murialdo di Torino) presso il collegio Brandolini Rota di Oderzo, Treviso, ed il 19 settembre 1931 viene ordinato sacerdote. La sua missione sacerdotale prosegue con l’incarico di maestro elementare presso il collegio Pio X° a Roma, al Patronato S. Gaetano di Tiene e Leone XIII° di Vicenza, Istituti condotti sempre dai Padri Giuseppini. Chiamato alle armi nel 1939 viene assegnato al battaglione alpini “Val d’Adige” ricostituito per esigenze di guerra. Di famiglia “alpina” per tradizione, lo stretto contatto con la vita militare e con gli alpini ne coinvolgono lo stato d’animo di sacerdote e di soldato tanto da “sentire” l’esigenza di aggiornare la preghiera che da qualche anno circola fra i reparti. Con le ombre della guerra che si stanno avvicinando ottiene la nomina a Cappellano Militare ed in questo ufficio anche l’approvazione ecclesiastica della nuova “Preghiera dell’alpino”. Può essere a pieno titolo indicato quale ideatore del testo nella formula che tutti gli alpini ancora oggi conoscono nei passi più salienti. Mobilitato con il “Val d’Adige” assegnato al VI° gruppo alpini valle nel giugno del 1940, prende parte alle operazioni nel settore Alta Roja sul fronte occidentale alpino.

Fotografia scattata sulla nave che trasporta i reparti complementi della divisione alpina “Julia” inviati sul fronte greco. Ripreso di spalle, Padre Don Claudio Enrico Bianchini mentre celebra la Santa Messa. Il documento è corredato da una sua nota autografa come ricordo: Il Vangelo in alto mare, alla Julia.

Per gentile concessione del nipote Claudio.

Con la successiva parziale smobilitazione dell’esercito, sciolto il “Val d’Adige”, viene assegnato sempre come cappellano militare alla divisione alpina “Julia” che pochi mesi dopo è inviata sul fronte greco-albanese. Anche in questo frangente emerge tutta la sua alpinità di soldato e sacerdote e la “sua” preghiera ora ha larga diffusione e viene pubblicata su diversi libretti di preghiere per i soldati. Nel giugno 1942 rientra in Italia e dopo un mese di licenza, ai primi di agosto è sulla tradotta in partenza per il fronte russo, questa volta assegnato alla divisione alpina “Tridentina” della quale ne segue tutte le vicende. Nei primi mesi, spostandosi da un settore all’altro per non far mancare il conforto religioso ai suoi alpini, poi con le note tristi vicende del forzato ripiegamento, ogni suo sforzo è ancora diretto con costante abnegazione verso i feriti. Per questo suo comportamento gli verrà conferita la medaglia d’argento al valore militare e per motu proprio del Re nominato Cavaliere della Corona d’Italia. Pur congelato ai piedi è fra i pochi superstiti che nella primavera del 1943 rientrano in Italia. Per le condizioni fisiche viene ricoverato all’ospedale militare di Udine per proseguire poi la convalescenza presso il fratello maggiore Giò Batta a Bassano del Grappa. Pur esonerato dal servizio militare per le precarie condizioni fisiche, la sua tempra di soldato alpino e di sacerdote non sono minimamente intaccate e nella primavera del 1944 alla notizia che si sta approntando la divisione alpina “Monterosa” inquadrata nel nuovo esercito della Repubblica Sociale Italiana, non esita a segnalare all’Ordinariato Militare la sua disponibilità per assicurare l’assistenza spirituale quale cappellano militare. Viene quindi assegnato prima al battaglione “Tirano” poi al battaglione “Morbegno” del 2° reggimento alpini divisione “Monterosa” condividendone le vicende belliche in Liguria, Garfagnana e Piemonte fino alla conclusione della guerra. Congedato definitivamente rientra nella normale vita di sacerdote ed è inviato a svolgere il proprio ministero a Roma quale parroco della Parrocchia di S. Alessandro. Il 17 ottobre del 1952 mentre percorre in bicicletta la Via Nomentana per uffici del suo ministero, viene travolto da un’automobile. Per le gravissime ferite riportate decede il giorno dopo domenica 18 ottobre 1952, presso il Policlinico dove era ricoverato, ed è sepolto a Roma nella tomba dell’Ordine dei Padri Giuseppini. Nel 1954 a due anni dal decesso giunge il brevetto della medaglia d’argento al valore militare conferitagli sul fronte russo.

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra ufficialmente nella seconda guerra mondiale. Le Forze Armate di mare di cielo e di terra saranno impegnate sui vari fronti per cinque lunghi anni. Con loro saranno presenti per il conforto religioso i cappellani militari e le preghiere.

Dopo quasi un anno di guerra un altro interessante documento compare in questo periodo e porta la data del 28 febbraio 1941. E’ un cartoncino con la PREGHIERA DELL’ALPINO edita a Mondovì ed approvata dal Vescovo Sebastiano Briacca. Per correttezza interpretativa va precisato che ogni preghiera è unica  anche se comprende similitudini. La differente costruzione, terminologia e passaggi, ne determinano l’unicità, pertanto non possono essere definite “versioni”. Questa preghiera è riprodotta dal giornale VECI E BOCIA della Sezione A.N.A. di Milano, comparsa nel numero di giugno 2000 in un articolo di Gigi Rodeghiero. L’interessante documento storico ritrovato casualmente in un vecchio libro di preghiere della mamma, appartiene all’alpino Angiolino Mailli di Magenta che ha gentilmente acconsentito alla sua pubblicazione.

Per gentile concessione del Direttore e Redazione del giornale VECI E BOCIA, Sezione A.N.A. Milano.

PREGHIERA DELL’ALPINO

     Fra pascoli e pinete, sulla nuda roc-cia, sui ghiacciai perenni della grande cerchia delle Alpi che la bontà divina ci ha dato per culla e creato a baluardo sicuro delle nostre contrade, nel torrido estate come nel gelido inverno, l’anima nostra si rivolge a Te, o Signore, che proteggi le nostre madri, le nostre spose i figli nostri lontani e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.

     Salvaci o Signore, dalla furia della tormenta, dall’impeto cieco della valanga, e fa che il nostro piede passi sicuro sulle creste vertiginose, sulle diritte pareti, sui crepacci insidiosi.

      Così – ad intercessione della Tua e nostra dolcissima Mamma Maria – con-serva, o Signore pietoso, pure le nostre labbra e onesta la nostra vita.

       Proteggi, Signore, l’amato Sovrano, il Sommo Pontefice, il nostro Duce; concedi che, per le ognor più belle fortune dell’amata Patria, ci manteniamo fedeli sempre al gelosissimo motto che infiamma il nostro labaro: < NEC DESCENDERE, NEC MORARI >!

50 giorni di indulgenza

Mondovì. 28 Febbraio 1941

SEBASTIANO BRIACCA, Vescovo

qui a fianco per maggior chiarezza

è trascritto il testo della Preghiera

Note. Il motto espresso in latino

Nec Descendere, Nec Morari !

tradotto letteralmente significa – Non Abbassarsi, Non Indugiare - ma, letto nel contesto della preghiera ha un significato più profondo che incita al rispetto dei valori alpini: affrontare con determinazione gli eventi.

 

(collezione F. M.)

Nel libretto Le preghiere del soldato qui riprodotto, pubblicato a Milano con la prefazione di Padre Agostino Gemelli, l’approvazione ecclesiale di Don Angelo Paredi in data 17 aprile 1941 e con l’Imprimatur del Vicario Generale Paolo Castiglioni in data 28 aprile 1941, compare fra le numerose anche la PREGHIERA DELL’ALPINO. La formula pubblicata rispetta fedelmente la preghiera che ritengo riscritta nel 1939 dal cappellano militare Padre Don Claudio Enrico Bianchini del battaglione alpini “Val d’Adige”, ispirandosi a quella del Col. Celestino Bes.

La stessa “preghiera” la ritroviamo all’interno del cartoncino pieghevole distribuito come RICORDO DI PASQUA 1942, agli artiglieri del 1° reggimento artiglieria alpina dal cappellano militare Don Secondo Cortigiani, il quale vi inserisce anche alcune esortazioni specifiche per i suoi artiglieri alpini ed una Preghiera del soldato alla Madonna, conoscendo la particolare devozione verso la Madre celeste venerata sotto vari titoli: Madonna delle nevi, Madonna del Rocciamelone, Madonna degli alpini, Madonna del Grappa, Mamma del Cielo, ecc. Purtroppo non si è riusciti a rintracciare che pochissime notizia biografiche su questo cappellano militare dalle quale si apprende che era marchigiano originario di Fermo. Mobilitato per la guerra ha partecipato alle operazioni sul fronte greco-albanese e jugoslavo dove dopo l’8 settembre 1943 passa nelle formazioni della divisione partigiana “Garibaldi” costituita con uomini dei disciolti reparti alpini che continuano volontariamente la lotta armata. A questo valoroso cappellano viene conferita nel 1944 la medaglia di bronzo al valore militare.

        

Cartoncino pieghevole distribuito dal cappellano militare Don Secondo Contigiani agli artiglieri del 1° reggimento
artiglieria alpina a ricordo della Pasqua 1942 con all’interno la “Preghiera dell’alpino”. (Collezione F. M.)

 

RICORDO DI PASQUA 1942

Mio Artigliere Alpino

Cerca di essere:

Forte: come cristiano e come soldato. La vita, ora e sempre, è una dura milizia: i deboli soccombono.

Coraggioso: Iddio è con te, ti aiuta, conforta e salva. La battaglia della vita va sostenuta senza ignavia, paura, senza codardia: fuggono i vili.

Generoso: se Dio, se la Patria ti chie-dono un servizio, qualunque sia, ora e sempre, rispondi con entusiasmo pronto ad ogni sacrificio: solo gli eroi sono degni della vittoria!

Iddio, che oggi hai ricevuto nel tuo cuore, ti benedica.

Il Tuo Cappellano

DON SECONDO CONTIGIANI

1° REGGIMENTO ARTIGLIERIA ALPINA

qui a fianco per maggior chiarezza

è trascritto il testo delle Preghiere

PASQUA 1942

PREGHIERA DELL’ALPINO

      Sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi che la Providenza ci ha dato per culla e creato a baluardo sicuro delle nostre contrade, in ogni angolo della terra o sui mari, ovunque, l’anima nostra, purificata dal dovere pericolosamente compiuto, è rivolta a Te, o Signore, che proteggi le nostre madri, le nostre spose, i nostri figli lontani e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.

         Dio onnipotente che regoli tutti gli elementi, salva noi, armati di amore e di fede, da ogni male spirituale; salvaci dal gelo demolitore, dalle furie della tormenta e dall’impeto della valanga;

     fa che il nostro piede passi sicuro sulle creste vertiginose, sulle diritte pareti, sui crepacci insidiosi;

     fa che le nostre armi siano infallibili contro chiunque osi offendere la nostra Patria, la nostra millenaria cristiana civiltà, la nostra Bandiera gloriosa.

     Proteggi, o Signore, l’amato Sovrano, il Duce nostro, e concedi sempre alle armi romane, guidate da Augusta sapienza, il giusto premio della Vittoria.

Certamente interessante è l’articolo con il quale il cappellano militare del battaglione alpini “Val Fella” Don Giuseppe Malgarini “fa la spiega”, come si diceva all’ora, sul significato della PREGHIERA DELL’ALPINO. Purtroppo non si è riusciti a rintracciare nessuna notizia biografica su questo cappellano militare. Pubblichiamo integralmente l’articolo così come compare su L’ALPINO del 1° novembre 1941.

La preghiera dell’alpino

Da quando alla fine della Messa domenicale del battaglione ho incominciato a recitare, per desiderio espresso dal comandante, la Preghiera dell’Alpino, la cerimonia ha assunto un aspetto di nuova imponenza. Sembra ci avvolga tutti quasi un odor di resina montana che ci fa allargare più ampiamente i polmoni. E negli occhi di tutti, irrigiditi sull’attenti, solenni nel vecchio cappello alpino come le rocce delle Dolomiti sotto l’azzurro del loro cielo, un lampo di luce più viva! Ci sentiamo fieri della nostra preghiera: ognuno ne ha inteso intimamente il senso e il valore, e ne accompagna con lo spirito il testo recitato dal sacerdote a voce spiegata. Giunti poi al termine di essa, prima che il trombettiere scandisca i due tocchi del riposo, intercorre un istante di silenzio, una frazione di secondo di attesa, in cui Sacerdote e Alpini si guardano reciprocamente negli occhi. Non è una pausa istintiva di respiro, dopo una comune tensione di nervi: è un misterioso istante di raccoglimento in cui si intuisce che quelle frasi, lanciate da oltre mille cuori all’unisono, verso il cielo, salgono, salgono, come una nuvola di incenso, oltre le nubi. “Sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai, …….”. Quando, dopo lunghe ore di salita faticosa, con lo zaino affardellato che grava sulle spalle e la fronte trasformata in una sorgente di sudore, l’alpino raggiunge il colle o la cresta o la vetta della montagna, dinanzi allo spettacolo nuovo che compare al suo sguardo a questo improvviso scenario di natura, si ferma immobile, trasognato. E’ il vero volto della montagna che forse prima aveva bestemmiato mentre le arrancava in groppa. Sono istanti in cui si dimentica tutto: fame, sete, stanchezza, sonno. Si è come trasportati nell’incanto di un mondo nuovo: è il momento in cui la montagna paga e ridona al nostro spirito quella fiducia in lei, che noi prima malauguratamente avevamo seminata lungo il sentiero della salita, frammista alle gocce di sudore. “Sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai,……”. Con pochi e sicuri strappi, eccoci arrivati lassù, sopra le nostre vette a contemplare il nostro regno, il regno dell’alpino. Ed è giusto che anzitutto la preghiera ci trasporti lassù in alto, tanto in alto. “….Salva noi, armati di amore e di fede,….”. Poveri ragazzi: ne hanno viste tante! Ne hanno passate e sofferte di tali. Che non si potranno mai immaginare! Quante insidie la montagna, soprattutto quella d’Albania, in veste di guerra. Freddo, gelo, tormenta, fame, stanchezza, notti senza il ristoro di poter chiudere un attimo le palpebre appesantite dalla veglia e indurite dal gelo; l’insidia nemica spietata, il ricordo di tanti compagni perduti. Poveri alpini superstiti! Loro si che sanno quanto sia la grazia della salute del corpo che domandiamo nella nostra preghiera al Signore! La terza domanda “O Signore, concedi a noi il giusto premio della vittoria!”. Ogni parola è un palpito ed ogni espressione una veemente documentazione a Dio dei motivi per cui la Vittoria non può essere che nostra. Il popolo italiano, con la sua “millenaria civiltà cristiana” ha già plasmato i destini della prima Europa. Dai giganteschi eventi di cui è costellata la Storia, Roma sola può rivendicare in tutti i tempi il primo onore e la prima responsabilità. Roma può quindi ancora significare la creazione di un nuovo ordine nella civiltà contemporanea, travolta da bufere di egoismo e di fatali illusioni. Roma sola è nella possibilità di rappresentare una volta ancora l’Impero della Giustizia.

Don GIUSEPPE MALGARINI

Cappellano del “Val Fella”